Tharamys

Delle sardine, la Storia e la destra fascista.

Questo articolo non parla di fantasy, né di tecniche narrative. Potrebbe essere il capitolo “sei” della mia biografia, ma c’è parecchio altro. Potrei cominciare col Duce e quel che ha combinato in Italia.

Me ne parlava sempre bene, mia nonna. Un grande uomo che ha fatto grandi errori, ma anche grandi cose. Questo era il suo ritornello, come un disco rotto ripeteva che non avrebbe dovuto entrare in guerra e che non avrebbe mai dovuto dar vita alle leggi razziali.

Lei ricordava bene il giorno, il 5 settembre 1938, quando furono cacciati studenti e docenti ebrei dalle scuole e poi ricordava l’11 novembre quando tutti i provvedimenti “a difesa della razza” furono ratificati dal consiglio dei ministri.
Adesso so che fu una dei tanti italiani che finalmente vide il vero volto del Duce: quello di un dittatore nient’affatto diverso da quell’Hitler che presto, prestissimo, avrebbe scatenato l’inferno in tutta europa.

Fino a quel momento mia nonna beatamente aveva ignorato cosa significasse vivere sotto il fascismo. Si era beata della propaganda, degli straordinari servizi dati agli italiani, ma aveva ignorato il prezzo o forse gli era stato tenuto nascosto da quella stessa propaganda che tanto gli piaceva.

C’è un testo virale che gira per internet e spiega le forme di governo usando “due mucche” e alla voce fascismo recita: “Hai due mucche, lo stato te le porta via, ti assume affinché te ne prende cura e ti vende il latte”. È un po’ complesso, ma alla fine della fiera è semplice: il fascismo è una autarchia, cioè determina da solo le proprie regole e i rapporti con gli altri stati incurante di trattati e accordi internazionali. Avoca tutte le risorse a sé e le redistribuisce secondo logiche di mercato stabilite a tavolino.
Nel momento in cui tutti i componenti della dittatura sono concordi e unanimi non si può neanche parlare di dittatura, ma di una sorta di utopia. Una specie di paradiso in terra capace tuttavia di pestare i piedi, in ambito internazionale, a tutto l’orbe terracqueo che non si adegua alla visione fascista coi suoi miti e la sua propaganda. Al 1938 le sedi estere del partito fascista erano circa 700. C’era chi, infatti, fino a quel momento aveva strizzato l’occhio al piccolo dittatore italiano e aveva simpatizzato per le grandi imprese volute dal regime al fine di portare l’Italia sotto i riflettori del mondo.

Le trasvolate oceaniche della regia aereonautica che portarono decine di idrovolanti a sorvolare il continente americano, l’impresa di Umberto Nobile, le ricerche di Marconi e molto, molto altro, avevano valso all’italia una fama mondiale.
Sul fronte interno c’era un sistema pensionistico d’avanguardia, assistenza sociale a tutti i livelli a partire dai più piccoli seguiti con un sistema che ricalcava pari pari lo scoutismo, solo in salsa fascista.
Una pietanza molto indigesta, come vedremo in seguito, e che era una delle colonne portanti per garantire al partito unico fascista il consenso anche nei decenni a venire.
Si nasceva figli della Lupa, crescendo si diventava Balilla, poi avanguardista e infine giovane fascista e giovane italiana. La carriera femminile finiva qui, quella maschile proseguiva nei fasci di combattimento e nella gerarchia del partito.
E gia questo aspetto avrebbe dovuto far arricciare il naso, ma il femminismo in italia aveva attecchito poco, alle donne piaceva portare la gonna e occuparsi dei figli e lasciare alla controparte maschile cose come la politica. Fu una scelta miope e poco accorta, ma d’altro canto al regime importava mantenere il consenso e quindi rafforzò tutto ciò che, nel breve periodo, contribuiva a riempire le piazze delle città di teste annuenti e facce sorridenti.
E nelle campagne? Piccoli paesi, borghi e fattorie erano isolate e i fascisti facevano un po’ quello che gli pareva. Non paghi le tasse? Ti porto via tutto. Non ti iscrivi al partito fascista? Ti faccio ingollare un bel boccale di olio di ricino e poi ti tengo là finché non hai riempito i pantaloni di merda. Insisti a non volere la tessera? Faccio irruzione in casa tua e ti carico di mazzate, magari sotto lo sguardo di moglie e figli.

Tutto questo mia nonna non lo sapeva, un po’ perché la sua sicilia non soffrì quanto soffrirono altre regioni: riservare questo trattamento alla persona sbagliata equivaleva a scatenare una epidemia di piombo (ad elevata energia cinetica) tra i membri del partito fascista. La Mafia non esiste, dicevano, ma l’inesistente onorata società aveva la lupara facile e persino Cesare Mori, il prefetto di ferro, fu costretto a fermarsi quando le sue indagini arrivarono a colpire non già la bassa e media manovalanza di cosa nostra ma le alte sfere e i contatti col mondo della politica.
Quei poteri collusi con la mafia che già allora avevano ben salde le redini del potere e che, con tutta probabilità, controllavano il governo.
Era il 1927 e il peggio doveva ancora arrivare.

Mio nonno fu spesso invitato a iscriversi al partito ma la sua posizione, di dirigente al servizio di sua maestà la Regina Elena, gli permetteva di dire “grazie no, comunque no grazie” senza subire alcuna ritorsione. D’altro canto i miei nonni vivevano a Roma e nella capitale certe attività come le purghe e i pestaggi avvenivano in sordina, senza fare troppo rumore.

Credere alle voci (perché la stampa era asservita quasi tutta al regime) o dar retta a quel Duce che tante cose buone aveva portato? Ordine, disciplina, servizi, progresso… ecc… ecc… ecc… erano tutte cose che all’apparenza erano buone e pure nella sostanza, ma lo studio dell’economia mi ha poi costretto a rivedere un po’ questa visione. Anzi: un Po.

Lo studio, già. Una maledizione per chi controlla il potere. Il Duce aveva pensato bene di “militalizzare” tutto, anche la scuola. La censura fascista lavorava moltissimo per fare in modo che tutta l’informazione fosse favorevole al regime e al duce stava particolarmente antipatica l’America, con quel suo “plutocratico liberismo nemico dei popoli”.
Ma perché era così acido nei confronti del popolo americano? Averlo come alleato gli avrebbe permesso di dire pifferomerlo a Hitler e, allo scoppio della guerra, restare saldamente sul carro dei vincitori.

E sì che con tutto quello che di bene mi diceva mia nonna sul fascismo io mi consideravo una persona di destra, favorevole allo Stato e amante della Patria, degno erede di Scipione e di Cicerone insomma poco ci mancava che salutassi la gente con “Ave”. Ancora oggi prediligo l’uso del “Salve” piuttosto che del “Ciao” che trovo troppo conviviale e allo stesso tempo di una rigidità fastidiosa e ipocrita come poco altro.

Arrivo all’età di 10 anni con un idea gloriosa del fascismo. Un po’ perché mia nonna ne era rimasta entusiasta, nonostante quel che aveva dovuto passare (che come vedremo non fu neanche 1/10 di quel che hanno dovuto subire gli italiani della resistenza, della Repubblica Sociale e degli scontri tra Asse e Alleati) e se oggi penso qualcosa di molto diverso da quello che avrebbe voluto mia nonna lo devo a un uomo straordinario… in realtà a più d’uno, ma Sandro Pertini ebbe un l’effetto di una granata nella cristalleria di racconti di mia nonna sul fascismo.

Il Presidente della Repubblica, l’Onorevole Sandro Pertini, aveva l’abitudine di ricevere le classi quinte di ogni anno scolastico. Sicuramente andavano da lui tutte le quinte della capitale. Non so come facesse a trovare il tempo, ma ogni giorno dedicava un paio d’ore a questa attività e riusciva a ricevere 4-5 classi a volta. Entrare al quirinale fu un’emozione incredibile, avevo già la mia lista di domande da porre e tra queste ne avevo alcune centrate sul fascismo, sulle cose buone che aveva portato e sul perché non si ritorna al vecchio regime.
E così dopo una raffica di domande sulla pace nel mondo, la fratellanza e l’amore tra i popoli ecco che il piccolo balilla di nonna domanda al Presidente Sandro Pertini “Perché, se il fascismo ha fatto tante cose buone per l’italia, non si ritorna al vecchio regime?”
Silenzio.
Poi Pertini scoppia a ridere e mi risponde: «Fossi matto, mi risbatterebbero in prigione!» e allora ecco che la curiosità innocente dei bambini ha il sopravvento «Allora è vero che è stato in prigione?» ed ecco che nonno Sandro si scatena e racconta dei reati d’opinione, del confino e della prigione, dei pestaggi e delle purghe e di tanti altri aspetti negativi che mia nonna aveva nascosto.

Che fare? A parte mantenere un dignitoso silenzio mi era evidente che quell’uomo sapesse di cosa stava parlando e che, tutto sommato, faceva scopa con quello che aveva poi portato alla dichiarazione di guerra e alle leggi razziali: “gli errori imperdonabili del fascismo” come li chiamava la nonna, quelli che gli erano valsi la sconfitta.

Sarebbero trascorsi altri otto anni, quando giovane universitario misi le mani su un videogioco chiamato “Civilization”, di Sid Meyer. In questo gioco si impersonava una civiltà guidata da una figura iconica, tipo “Cesare per i Romani” o “La regina Vittoria per gli Inglesi”, “Abe Lincoln per gli Americani” “Re Shaka per gli Zulu'” ecc…. e si doveva attraversare la storia ripercorrendo scoperte scientifiche, battaglie, costruizione di monumenti ecc…

Il mio personale record fu la scoperta della Ferrovia nel 1200 con i Romani, al massimo livello di difficoltà.
Ero diventato talmente abile nel “governare i popoli” che mi misi di buzzo buono per capire il funzionamento del gioco a livello di programmazione (mio hobby che poi divenne il mio lavoro) che provai ad introdurre il fascismo tra le forme di governo disponibili. C’era già la “dittatura”, ma mi pareva troppo restrittiva e poco funzionale.
Così mi misi a studiare. Studiai a fondo come funzionava il fascismo per riprodurlo nel gioco sotto forma di algoritmo. In breve tempo dovetti abbandonare il progetto perché l’enormità di quello che scoprii mi lasciò interdetto.
Avevo ben chiaro, grazie alle parole di Pertini, quale fosse il lato oscuro del regime. Quello che fino a quel momento non mi era per niente chiaro era in che modo il fascismo riuscisse a finanziare progetti anche ambiziosi e riuscire nell’impresa.
La bonifica dell’agro pontino è un buon esempio.
La bonifica integrale inizia nel 1927. I lavori da compiere sono titanici: si tratta di prosciugare le acque su 135.000 ettari complessivi, dei quali circa 80.000 appartenenti all’Agro Pontino vero e proprio. L’impresa non si ferma davanti a nessun ostacolo: vengono impiegati 120.000 lavoratori. Si costruiscono migliaia di km di canali di drenaggio e più di 1000 km di strade pubbliche. La bonifica e la successiva colonizzazione vengono esaltate continuamente dalla propaganda fascista. Nascono come ruralizzazione e, di fatto, antiurbanesimo, ma si concretizzano in una nuova idea di città e in una colossale infrastrutturazione. È forse il merito più straordinario di cui il regime si fregia. Per compiere questo disegno, dal nord arrivano nel Lazio migliaia di famiglie. In breve colonizzano tutta la pianura e si stabiliscono dove un tempo nessuno osava mettere piede. Non è più tempo di capanne fatte con la paglia e il fango, ora nell’Agro Pontino sbarcano i grandi architetti e crescono le città di fondazione: nel 1932 Littoria, nel 1934 Sabaudia, nel 1935 Pontinia, e infine Aprilia, nel 1937, e Pomezia, nel 1939. A qualche chilometro l’uno dall’altro, nascono 16 borghi rurali, sparsi in punti strategici. Sono piccoli nuclei di case con qualche negozio, la posta, la Casa del Fascio e l’immancabile Dopolavoro. Vengono battezzati con nomi che ricordano le battaglie della Prima Guerra Mondiale: Borgo Grappa, Borgo Piave, Borgo Sabotino. Tutto attorno vengono attribuiti 3000 poderi con le case coloniche, 1800 dei quali assegnati a veneti e friulani, gli altri a ferraresi. Quasi nessuno a laziali o campani, primitivi padroni di quelle terre, ora esautorati da una popolazione esogena. La bonifica è un esempio paradigmatico di globalizzazione, con relativo annullamento delle aspirazioni delle popolazioni locali.
Fonte “La Stampa”.

A parte l’idiozia finale sugli abitanti locali: erano inesistenti, quella era una vera e propria jungla inospitale dove le persone, se vi rimanevano troppo a lungo morivano, il resto è tutto vero.
120.000 operai… ma da dove li aveva pescati il duce? Dopo la I guerra mondiale il Nord era in ginocchio, l’economia stentava e in molte regioni si faceva la fame.
Specie in veneto e friuli.
Il regime pensò bene di “Dare la terra agli italiani” e devastò un’area dove la natura aveva regnato incontrastata e i Romani avevano pensato bene di non mettere piede, proprio quei Romani che il duce aveva preso a modello, e lui l’aveva “regalata” alle famiglie che avrebbero scelto di trasferirvisi.
Il regime pagò tutto: viaggio, alloggio, macchinari, materiali. Gli operai potevano avere tutto quello che serviva per domare una terra che fino a quel momento aveva resistito all’uomo.
La guerra fu violenta e senza escluione di colpi, ma alla fine la natura cedette il passo… non senza aver combattuto.

Ancora oggi stiamo pagando il prezzo di quell’azione sconsiderata e continueremo a pagarlo a lungo: la perdita di biodiversità avrà effetti che si ripercuoteranno ancora per qualche secolo.

Allora però, complice una propaganda pervasiva e davvero efficace, l’impresa fu salutata come figlia di quel progresso inarrestabile e portatore di benessere. La terra fu “curata e liberata dalla malaria” dissero. A un prezzo che oggi farebbe tremare i polsi anche al più scaltro dei politici e che resterà ignoto ai più. I dati, nudi e crudi, parlano di 120.000 operai schierati e di poco meno di 60.000 lotti assegnati. Sapendo che a ogni operaio era stato promesso un pezzo di terra si fa presto a fare un conto spannometrico su quanti quella terra l’hanno goduta dal basso, mentre le radici degli alberi li avvolgevano in un abbraccio eterno.

A mo’ di presa per i fondelli fu istituito il “Parco Nazionale del Circeo” ovvero quella parte di foresta che non era stato possibile tirare giù, che più aveva resistito agli assalti degli uomini e che non comprendeva l’aspro monte dedicato alla maga Circe. Divenne la prima area protetta d’italia. Nel male qualcosa di buono era uscito fuori? Macché! Il monte non faceva parte del parco e non ci sarebbe entrato che nel secondo dopoguerra. Prima fu oggetto di una intensa speculazione edilizia: tutti i gerarchi fascisti puntavano a farsi la villa su quelle coste ora finalmente libere dalla malaria.
Omnia munda mundi, dicevano i Romani.
E avevano ragione.
Le dune costiere e le aspre scogliere vennero colonizzate e deturpate per sempre da ville e villette, là dove non c’era il parco e il demanio concedeva facilmente la concessione edilizia se si era bene ammanicati col regime.

Dove ho già sentito una storia simile?

C’è di buono che dopo la caduta del regime il parco è più che raddoppiato e ora occupa una superficie di oltre 8500 ettari, che include anche il monte che gli da il nome.

E arriviamo al videogioco e all’algoritmo che avevo dovuto mettere in piedi basandomi sui dati storici ed economici raccolti. Per far funzionare il fascismo avrei dovuto perdere una parte della popolazione delle città per finanziare le opere pubbliche.
Se questo, in un breve periodo, mi avrebbe dato statistiche favolose: popolazione felice (anche perché gli infelici vengono eliminati fisicamente mentre tentano di diventare felici), scambi commerciali elevati, produzione alle stelle e ricerca scientifica in crescita, nel lungo periodo avrebbe indebolito oltre misura e bloccato la crescita (niente popolazione, niente gestione del territorio e quindi meno risorse per il gioco).
Era un modello semplice, eppure giocando a civilization con il “fascismo” non vinsi neanche una partita. Si arrivava ad un certo punto per cui le città non riuscivano mai a superare un livello di popolazione elevato (1 livello ogni 10000 abitanti circa) e puntualmente una popolazione vicina più bellicosa, un’orda di barbari o semplicemente la stagflazione finivano col rallentare e distruggere ogni impero faticosamente costruito.

Non contento, pensai di aver sbagliato qualcosa nel modello, poi mi ritrovai a dover affrontare l’esame di Economia Politica all’università.

Qui mi ritrovai a studiare in modo approfondito come funziona un mercato e che è governato da leggi che funzionano bene quanto quelle che regolano la caduta dei gravi.
Aumenti il prezzo? Cala la domanda. Sei monopolista? Decidi tu il prezzo e la domanda si adegua. Ci sono due beni simili? Aumenta il prezzo di entrambi, quello che aumenta di meno vende di più. L’economia non è né buona, né cattiva: è spietata. Questo ripeteva il professore e una volta viste le imprese del fascismo in chiave economica ho finalmente capito perché al Duce il liberismo economico andava per traverso.

Perché agli italiani sarebbe finalmente apparso chiaro chi era a pagare per tutte quelle cose meravigliose che riempivano i giornali e venivano trasmesse per radio.
Non Esistono Cose Come I Pasti Gratis.
Tuo figlio va all’opera balilla spesato di tutto?
Ricordati che c’è un contadino che ha perso la vita per bonificare una palude.
Per carità: quel contadino è andato spontaneamente a bonificare in cambio di un pezzo di terra. Se però ci domandiamo perché quel contadino è dovuto partire si scopre che l’alternativa era quella di morire di fame (e non c’era neanche bisogno di spranghe o olio di ricino) a causa della politica economica che dal 1925 (varo delle leggi fascistissime) ebbe conseguenze molto gravi per tutti i lavoratori.
Il Duce non avrebbe mai potuto allearsi con gli Stati Uniti. Il Colonialismo economico cui andavano soggetti tutti gli stati che entravano in contatto con gli USA lo avrebbe detronizzato in pochi anni lui con tutto il suo entourage.

E però neanche questo studio mi permise di abbandonare del tutto l’idea che il Fascismo avrebbe potuto, anche solo in una ucronia, sopravvivere se le cose fossero andate diversamente e portare l’Italia in un futuro radioso.
La spallata definitiva a queste idee l’ho data io stesso, sempre attraverso lo studio, e per motivi compleatamente differenti.

Stavo mettendo a punto l’ambientazione per i “Romani a Vapore”, una ucronia simil steampunk dove i Romani avevano scoperto la magia grazie ad Archimede di Siracusa (vedi il racconto Siracvsa pubblicato di recente su questo blog) e, alla guida di fantastici mezzi a vapore come il Ferrequus (treno) o l’aves inflatus (dirigibile), dovevano fronteggiare un’invasione aliena.

Lasciate perdere i commenti, avevo bisogno di studiare motori di ogni genere, mezzi volanti e non, dal vivo. Avevo bisogno di sentire puzza di olio e ferro surriscaldato.
Internet ormai funzinava bene, ma con cianografie e foto d’epoca ci facevo poco. Così mi recai al museo nazionale dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle, sul lago di Bracciano.
A pochi km da Roma.
Completamente gratuito, il museo offre la visione di mezzi volanti di ogni genere, dalla vite aerea leonardiana ai più moderni caccia come l’eurofighter.

Vi si possono ammirare motori di tutti i tipi e arei di ogni epoca come il mitico SPAD pilotato da Francesco Baracca o lo stormo della Regia Aereonautica del 1927… ancora biplani.
No aspetta, i francesi avevano adottato da tempo il motore radiale e invece in italia l’aeronautica militare usava ancora mezzi risalenti alla prima guerra mondiale?
Che è ‘sta storia?

E ancora: negli anni 30 l’ingegner Caproni, l’uomo che aveva fondato insieme ai fratelli Wright l’aeronautica e che fu ricevuto dal presidente degli stati uniti con tutti gli onori dedicato a un capo di stato proprio per i suoi meriti… fu snobbato alla grande per i suoi studi sulle “eliche intubate” e la propulsione a reazione.

Piaggio, altro nome grandioso in campo aeronautico, in Italia dovette adattarsi a fabbricare motociclette perché ai pluripremiati motori radiali costruiti dalle sue fabbriche si preferirono quelli “in linea” prodotti dalla FIAT.
E anche gli SPAD, nati da un progetto francese, erano stati rielaborati e costruiti a Torino.

La FIAT aveva vinto tutti gli appalti, nonostante la superiorità scientifica e tecnologica della concorrenza (e non è che ci si può sbagliare, basta vederli quei motori per capire chi aveva le tecnologie più d’avanguardia!).
Perché?
Ovviamente la risposta a questa domanda c’era e appena lessi la parola “appalto” si dipanò davanti ai miei occhi di scrittore una fantasmagorica storia di tangenti e appalti vinti a tavolino e incuranti dei meriti dei partecipanti.
C’era stata una guerra, prima dello scoppio della II guerra mondiale, ma era stata di tipo econimico e aveva visto Caproni e Piaggio (tra gli altri) uscire sconfitti, mentre Torino e la FIAT avevano svolto il ruolo dell’asso pigliatutto.
Quello era stato solo uno degli scontri, ce ne erano stati molti altri, moltissimi e tutti combattuti con armi che facevo fatica a comprendere, ma che avevano come conseguenza l’impoverimento di una regione più o meno ampia a vantaggio di un’altra.
Certo che poi il regime aveva decine di migliaia di affamati da impiegare come bassa manovalanza per azionare le idrovore di una bonifica, per esempio.

Di fronte a quella nuova valanga di dati ho definitivamente seppellito il sogno fascista, che più che sogno si è rivelato un incubo della peggior specie. Una dittatura capace di far felici tutti, anche quelli che avrebbero dovuto morire per permettere agli altri di campare più o meno bene. “Son contento di morire, ma mi dispiace… mi dispiace di morire, ma son contento” l’ironia delle parole di Petrolini riecheggia ancora mentre scrivo queste righe.
Il regime, pochi anni più tardi, avrebbe mostrato il suo vero volto e con le leggi razziali del ’38 mise una pietra tombale sul suo futuro. Il costo in vite umane si faceva di anno in anno più oneroso e le richieste dei membri del partito più pressanti per cui il duce doveva dare un segnale, qualcosa da dare in pasto a quella generazione di xenofobi e dittatori in erba che aveva allevato grazie al ministero per la cultura popolare (Min-Cul-Pop), all’opera Balilla e a tutti gli altri sistemi di indottrinamento usati per alimentare di forze nuove la macchina fascista.
La ratifica delle leggi razziali fu solo la punta dell’iceberg. E però fu anche il punto di rottura, la perdita di consenso ebbe inizio proprio l’11 novembre 1938. L’anno seguente sarebbe scoppiata la guerra, ma anche se per qualche arcano motivo, l’Italia si fosse schierata con l’inghilterra, il risultato non sarebbe cambiato.
I dati economici non sono come quelli storici che possono essere riscritti. Sono dati e tali restano: numero di morti, numero di imprese registrate, numero di fallimenti eccetera e quelli non mentono o meglio non mentono gli effetti che si portano dietro. Il fascismo spendeva più di quello che guadagnava e per pareggiare i conti toglieva a quella parte di popolazione che non poteva far altro che chinare il capo e poi redistribuiva quella ricchezza all’altra. Il Colonialismo dell’italia ha esteso la parte di popolazione sottoposta a “prelievo”, ma la meccanica non è cambiata e non sarebbe cambiata di una virgola fino alla caduta del regime. D’altro canto il regime non poteva cambiare o i consensi all’interno del partito sarebbero calati e neanche le purghe e le spranghe avrebbero potuto salvare il regime dalla caduta.
La guerra ha soltanto accelerato questo processo.

Oggi ci sono dei poveri ignoranti che aspirano a rifondare questa parodia di governo.
Poveri ignoranti perché se avessero studiato in modo approfondito non da fonti “storiche” come l’articolo di “La Stampa” citato poco prima, ma da fonti economiche oggi non starebbero qui a parlare di “camerati” o di “compagni”.
Persone che, complice la crisi economica, credono che ripristinare il modello fascista porterebbe loro dei benefici.
Forse sì, se avessero la ventura di capitare tra quelli cui non viene chiesto di morire per far vivere gli altri.
Perché ai contadini che hanno bonificato l’agro pontino è stato chiesto di andare a morire di malaria.
In cambio della terra, certo, ma la malaria era là pronta a mietere vittime su vittime, come è stato.
E il bello che, a quei poveri ignoranti, non viene mica promessa la terra eh? Oggi i premi si chiamano “lavoro”, “studio” e “banda larga”. Oggi decine di migliaia di disperati si accalcano per partecipare a un concorso per titoli ed esami, oppure espatriano e cercano fortuna all’estero e, che strano, ben pochi tornano in Italia se non per una breve vacanza.

Lo studio della storia, quello sistematico e analitico, insomma non le belle reinterpretazioni che gli storici “DOC” ci hanno lasciato, porta a una comprensione della realtà assai più profonda e che non lascia alcuno scampo alle ideologie di qualunque colore esse siano. Rosse, nere, scudocrociate o azzurrine vengono spazzate via e dissolte dalla luce della conoscenza.

Knowledge is Power

Lo hanno detto in tanti, personaggi reali e immaginari. Lo hanno detto perché è assolutamente vero in qualunque realtà si viva (la frase è stata detta, tra gli altri, da Raistlin Majere, personaggio immaginario secondo solo a Gandalf il Grigio quanto a potenza). Persino mia nonna.

Sul valore della conoscenza mia nonna dunque aveva ragione. Si è sbagaliata quando raccontava che il fascismo ha fatto tante cose buone. Il Duce non ha fatto “anche” cose buone, è stato un burattino nelle mani di altri e ha provocato la morte di milioni di persone con lo scoppio della II guerra mondiale. L’economia è spietata e, come la matematica, non mente.

Per contrastare la nuova ondata di simpaticoni abbigliati con camice nere ci si è armati di sardine.

Ho qualche dubbio.

Prendete i libri e leggeteli, studiate, scambiate opinioni che oggi è più facile che 100 anni fa. Scoprite cosa è accaduto veramente attraverso lo studio e l’esercizio del libero pensiero.

E se poi qualche testa di cazzo vestita di nero viene a dirvi che negri ed ebrei devono andare via, magari nei forni crematori, potrete rispondere con pacata ironia che furono proprio le leggi razziali italiane a determinare le sorti del II conflitto mondiale.

Albert Einstein ed Enrico Fermi vivevano in Europa. Il primo fu la mente più geniale del XX secolo e il secondo l’ultimo fisico che conosceva tutto della propria materia. Le persecuzioni naziste e le leggi razziali ne provocarono la fuga in America.

Entrambi lavorarono nel progetto Manhattan, ma fu Enrico Fermi a scoprire come produrre in fretta abbastanza U235 per confezionare tre bombe atomiche in pochi mesi.

Gli Stati Uniti, forti della loro immensa capacità produttiva e arricchiti dalle menti fuggite dall’Europa non potevano perdere la guerra. Ancora una volta a parlare sono i numeri, non gli storici. Magari questo discorso si avvicina un po’ alla Psicostoria teorizzata da Isaac Asimov, ma i fatti ci dicono che furono le leggi razziali la scintilla che provocò la fuga di Fermi. Sua moglie era ebrea. Senza Fermi gli Stati Uniti non avrebbero mai prodotto abbastanza uranio per fabbricare una sola bomba, ma in compenso avrebbero potuto riuscirci gli italiani.

Di solito considerazioni come questa hanno l’effetto di azzittire i fascistelli (qualche volta ho rimediato un po’ di legnate, ma si sa: la violenza è l’estremo rifugio degli incapaci) e la realtà è ancora più interessante di quanto l’immaginazione possa fantasticare. A fuggire non furono solo Fermi ed Einstein, ma tutti quelli che ci riuscirono prima dell’apertura dei campi di sterminio. Le migliori menti d’Europa si misero in salvo e combatterono, a modo loro, la guerra sotterranea e silenziosa che avrebbe portato gli Alleati a vincere.

Quindi, care le mie sardine, il miglior modo per mettere a tacere un fascista è lasciarlo parlare finché non si contraddice da solo con le sue cazzate, a quel punto basta un minimo sforzo per fargli notare che ha detto “A” e “il contrario di A” (cit: Van Vogt), chiedergli di risolvere il conflitto può sembrare una crudeltà eppure è anche per il suo bene.

Usciranno bestialità una dietro l’altra che neanche le ciliege, cose da segnare e poi diffondere con un coro di risate a profusione, com’è accaduto per quell’assessore leghista che sbraitava contro la povera Liliana Segre perché aveva definito Gesù “ebreo” anziché “figlio di Dio”.

Alla fine di questa lunga riflessione cosa mi rimane? Una destra che ha come valore l’onore e la patria, ma quest’ultima ora che austriaci e tedeschi sono concittadini di italiani e spagnoli, ha ancora senso? Rimane l’onore e l’orgoglio delle radici, quelle sì, Romane e Celtiche di cui si trovano tracce in tutta Europa e che ci uniscono e identificano in un unico, grandissimo, popolo ricco di impagabili diversità.

Viva l’Europa, viva la Pace, viva i popoli uniti.

Andrea Venturo

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