Test di Scrittura – Trama, livello 1

L'incipit per me è la fase più delicata, ma il capitolo che lo segue è altrettanto importante: mi serve per far innamorare il lettore e convincerlo a seguire tutto con attenzione. Se nelle prime 50 parole non riesco a infilare alcun evento, ma solo descrizioni particolareggiate so che sto sbagliando qualcosa.

Io mi chiederei: chi è che da l'informazione? Perché glielo rivela? Ho una scheda di quel personaggio? Dov'è nato, dove ha vissuto, chi sono i suoi amici... ecc... e continuerei a scavare nella vita di quel personaggio financo a contargli quanti peli ha (se li ha) in ogni frogia del naso pur di trovare una risposta che sia coerente con la storia narrata. L'informatore rompiscatole è uno degli errori narrativi più abusati dopo il Deus Ex Machina (ho già detto che mi fa arrabbiare?). Questo losco figuro si aggira tra le pagine di ogni storia e, con le sue soffiate, cancella la suspence, annulla l'effetto Thrilling, semina noia e disappunto in ogni lettore che si rispetti.

Io rivedrei qualcosa del personaggio, che il lettore abbia almeno un paio di indizi per intuire che dietro di lui o di lei c'è molto altro. Quella del "Deus ex machina" è una trappola infernale in cui cadevano e continuano a cadere autori e sceneggiatori di bassa lega e di cui si diceva peste & corna già ai tempi di Aristotele. Una storia in cui l'eroe di turno o uno dei suoi alleati\amici\conoscenti è in realtà un personaggio grosso e in incognito, che si rivela solo al finale per "aggiustare tutto" è una storia brutta. Una storia dove l'eroe, il protagonista (sia uno o più d'uno) raggiunge il successo senza completare l'arco di trasformazione è una storia mal scritta. Se non c'è trasformazione gli deve andare male, è la logica a dirlo. Hai un problema che non riesci a risolvere, cosa fai? O cambi te stesso (attraverso lo studio, l'esercizio fisico, sedute dallo psicologo... fai te) e ti metti in condizione di risolvere il problema, oppure fallisci e subisci tutte le conseguenze (morte inclusa, se possibile). Se arriva Babbo Natale (piuttosto che Zeus, Cristo, Mitra, Buddha, Pastafarian... ecc... ) e ti toglie dai casini... che hai imparato di buono? Niente. E il lettore penserà di aver perso tempo a leggere una tua storia. Scusa la lezioncina, ma quella del deus ex machina è una questione che continua a restarmi indigesta ogni volta che la trovo, a cominciare dalle mie storie.

Inserire un luogo dove i personaggi rischiano la morte, anche se potevano evitarlo, non è una saggia idea. La fase di "quasi morte" è un momento preciso della narrazione, di solito è unico ed è situato a circa metà del libro. Si chiama in molti modi: caverna, prova più difficile, incontro con l'ombra... ecc... in tutti gli altri casi chi rischia di morire è il lettore (se immagina di trovarsi nelle medesime condizioni), mentre l'eroe, grazie alle sue capacità sa cavarsela. Ci sono le eccezioni, naturalmente, ma si tratta di opere prodotte da gente del calibro di Turtledove, Cussler, Sanderson... eccetera. Gente che è abituata a raccontare storie e sa gestire strutture narrative ben più complesse del "Viaggio dell'Eroe". E anche in quel caso... non si passa per antiche miniere Naniche se si ha un'alternativa.
Un conto è creare suspence, un conto è allungare il brodo ripetendo più volte la stessa scena, ma con parole diverse. La "Caverna", la situazione di morte o quasi, è un momento preciso della narrazione. Se hai messo questa situazione più volte all'interno della stessa linea narrativa puoi star certo che l'editor ti inviterà a tagliare qualcosa.

Alcuni scrittori, specie quelli Fantasy (ma non solo), pensano che scrivere avventure per il Gioco di Ruolo e per un Romanzo sia la stessa cosa. No, purtroppo. Il gioco di ruolo, così come il cazzeggio con gli amici (che sia dal vivo o sui social) non ti insegna a scrivere romanzi. In compenso è una palestra per praticare la progettazione narrativa, per sperimentare e improvvisare variazioni al volo (ho perso il conto delle volte in cui le scelte dei giocatori mi imponevano cambi drastici alla narrazione), ma essere un bravo Master o un bravo Giocatore, così come un abile cazzeggiatore non mi ha automaticamente permesso di scrivere roba decente. Il gioco di ruolo è stato e rimane un ottimo strumento per analizzare trame e personaggi, può dare un eccellente contributo a realizzare scene d'azione solide e coerenti e molto altro, ma per la parte dello storytelling, dell'uso della lingua (parlata e scritta), non offre aiuti anzi: instilla una falsa sicurezza che poi si rivela infondata con le conseguenze del caso.

Domanda scomodissima. Le storie su più volumi non si improvvisano. Cioè puoi anche farlo, ma avrai un sacco di difficoltà. Una storia su più volumi va progettata accuratamente. Nel primo volume devi sapere già come finirà l'ultimo, almeno a grandi linee, e devi avere perfettamente chiaro tutto il mondo narrativo in cui si svolge l'azione. Cambiamenti in corso d'opera sono il male, almeno per me. Mi hanno sempre portato su binari morti con un triste cimitero di racconti e romanzi abbandonati. Meglio una storia autoconclusiva con un mondo narrativo definito e stop. Se poi va bene si può sviluppare e migliorare, ma partire in quarta con un romanzo che diventa in corso d'opera una ennealogia, per me, si è rivelato improduttivo.

Ti sto chiedendo di valutare le dimensioni fisiche del tuo romanzo, una sorta di rapporto tra "portata della trama" e "numero di cartelle". Forse dovrai tagliare qualcosa o progettare una pubblicazione in due volumi. Dosare gli elementi della narrazione è pure importante: siccome non scrivo bene come un Eddings, un Sanderson o una McAffrey (giusto per citare qualche nome senza scomodare Tolkien) ho dovuto imparare a inserire nella narrazione solo gli elementi funzionali. Una pistola, se è nella storia, ci sta perché sparerà almeno un colpo. Se no taglio. Lo stesso vale per la magia, per gli scassinatori, le persone sensualmente attraenti ecc... ecc... ecc... come diceva Max Bunker: "Ed ecco infine Alan Ford, di tutti è il più bello, ci sta proprio per quello nel gruppo TNT" e se non sai di cosa parlo apri google e cerca.

Le risposte giuste erano quelle che inizavano con "Meglio Se... ", non è difficile capire perché. Scrivere è esercizio costante. Scrivere una storia lunga su tanti volumi è difficile anche per gli autori più affermati. La Rownling con la Giratempo (e tanti altri dettagli) s'è persa per strada, buon per lei che i personaggi erano molto ben costruiti e la trama era fondata su elementi "primordiali" come l'amore in tutte le sue forme, l'amicizia, la fratellanza... ecc... per cui il lettore si è sentito comunque coinvolto. Tolkien ha impiegato una vita, letteralmente, per scrivere il Signore degli Anelli. King, con la Torre Nera, ha dato vita a un continuum narrativo capace di avvolgere tutte le storie raccontate, ma c'è arrivato dopo anni di scrittura... Martin invece nel 2020 non ha ancora finito l'ultimo capitolo della sua saga. Insomma: secondo me è meglio partire con qualcosa di facile e se poi diventerà il primo mattone di una saga lunga 10 volumi meglio. Ma partire per una maratona di maratone con l'allenamento necessario a finire, forse, la prima tappa è un fallimento annunciato. Lo so perché ci sono passato. Meglio pensare alle cose che contano: costruire un incipit "potente" e rendere unica la storia raccontata nel volume che il lettore ha in mano, non quelli che comprerà in futuro.

Cambiare idea in corso d'opera è lecito, ma potenzialmente distruttivo. Se però a suggerire questa divisione è una persona esperta del mercato editoriale, qualcuno che letta la tua storia già sa dove e come venderla, allora ne vale la pena. Partire con un romanzo e poi, in corso d'opera (magari durante la prima stesura) optare per la divisione in più tomi è potenzialmente distruttivo: ho perso il conto della quantità di storie abbandonate perché avevo aumentato le pretese mentre scrivevo. Per me funziona "meglio una sola storia alla volta e scritta bene".

Ricordo una storia incredibile dove, nell'incipit, una tipa si ferma in mezzo alla campagna scavalca una recinzione dove ci sono degli asini al pascolo e ne punta uno, gli spara e lo uccide, poi riparte. Tutta la storia si chiude nello stesso film (tratto da un libro che se ritrovo pubblicherò il titolo... credo fosse The Lobster), se l'autore avesse deciso di mettere tutte le spiegazioni spalmate su due-tre libri/film sarebbe stato un fiasco. Altra cosa che ho imparato a mie spese: Alla fine del libro tutti i fili aperti all'inizio DEVONO ESSERE CHIUSI, pena il linciaggio da parte del pubblico. O, come nel mio caso, il lancio della pizza. Non è stato bello.