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Il mondo al contrario – una recensione obiettiva

Come faccio a parlare del libro del momento? Cover "Il mondo al contrario"
Facile: sono uno scrittore, sono un editor, ho all’attivo migliaia di ore trascorse a leggere e a scrivere… cose.
Perché ne voglio parlare?
Per mettere una cosetta o due in chiaro.

E perché l’ho postato sul mio blog invece che su facebook?
Perché così posso essere diretto, parlare di reati come l’omicidio ed esprimerne la più secca condanna senza beccarmi la censura del social in blu perché, oohh ho scritto la parola “omicidio” o ho avuto l’ardire di nominare “Adolf Hitler” e dire che era un comunicatore eccellente senza essere accusato di “esaltazione del nazismo”.

Sappiamo tutti cos’è stato Hitler e cosa c’è da pensare al suo riguardo. Chi crede che sia stato un leader capace e che “ha commesso qualche errore” ma che ha agito per il bene della Germania può farsi un giretto a Dachau, a Treblinka, ad Auschwitz… ‘ndo je pare a rinfrescarsi la memoria e quando si ritroverà davanti alla porta delle docce è pregato di ripensare alla bontà del leader in questione. Se ancora non è convinto potrebbe entrare nei bagni, vedere la porta stagna chiudersi e guardare le “docce” mentre si domanda “perché la porta di uscita è così calda?” (hint: perché affaccia sul locale forni crematori).

Ora che ho spiegato bene qual è il potere della Parola e cosa può combinare in mano a una persona malvagia, e tutto si può dire di Hitler tranne che non fosse malvagio oltre ogni possibilità di redenzione, possiamo cominciare a parlare del libro in oggetto.

Chiariamo subito un concetto: Roberto Vannacci è una persona molto diversa da zio Adolfo in arte Fuhrer. È un uomo che ha avuto una carriera brillante in campo militare, ha partecipato a numerose operazioni internazionali di pace e non, ha difeso strenuamente la causa dei soldati colpiti dai danni derivati dall’uso di munizioni a uranio impoverito, arrivando ad agire contro le stesse istituzioni militari di cui pure è un elemento di spicco e per questo si è meritato la mia stima.

Insomma non è l’ultimo arrivato e nemmeno una persona malvagia. È una persona, con i suoi pregi e i suoi difetti;  su questo punto pure non ci devono essere dubbi.

Se la pensi diversamente smetti subito di leggere, altrimenti potremmo litigare e a me non piace farlo.

Il libro che ha scritto, “il mondo al contrario” ha un pregio: dice quello che l’autore pensa e lo fa senza peli sulla lingua. Il Vannacci ha collegato il cuore in presa diretta con la mano ed è andato dall’inizio alla fine a dire le sue cose a proposito di buonsenso, ambientalismo, energia, patria, famiglia, LBGTQ+-*/ e tanta altra roba.

Argomenti che c’entravano gli uni con gli altri come “i cavoli e i re” di Carrolliana memoria, ma che ti rendi conto essere collegati tra loro solo quando ti ritrovi nei panni dell’ostrichetta e stai per finire come nella poesia “Il tricheco e il Carpentiere” messa in musica da Disney nel film ispirato dal libro e tradotta impeccabilmente anche in italiano:

Non dico niente di nuovo quando affermo che “Ne uccide più la penna che la spada” e quando insegno a qualche ragazzino a scrivere in modo un po’ più articolato dei pensierini richiesti dalla maestra, figli inclusi, il primo concetto con cui gli fornisco la giusta consapevolezza è la potenza di una penna ben allenata: “causare più morte e distruzione delle bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki”.

L’ho spiegato poc’anzi parlando di Hitler che, grazie a un sapiente uso delle parole, ha fatto quel che ha fatto.

Una penna è un’arma che può colpire là dove ognuno si crede invulnerabile, capace di trasformare un uomo onesto in uno spietato assassino, di ammantare con “Giustizia” e “Bene superiore” atti nefandi e scellerati… insomma è uno strumento verso cui provare rispetto e non sufficienza e va utilizzato consapevolmente.

Se dai fiato alla bocca e spari ‘na stronzata rischi solo di fare la figura del cretino perchè “verba volant”. Ma se dai mano alla penna “scripta manent”, le tue parole vivranno anche dopo di te e continueranno la tua opera finché anche l’ultima copia di ciò che hai scritto è diventata finalmente polvere.

Se una bomba atomica causa danni nel momento presente e poi i suoi effetti perdureranno nel tempo con forza sempre minore dettati dalle leggi della fisica, la potenza di un’idea messa per iscritto non si manifesta subito. La sua forza si scatena in un arco temporale più ampio, decenni, e gli effetti hanno una portata molto più ampia.

Per “i protocolli dei savi di Sion”, scritti dalla polizia zarista nel 1901, gli effetti di lungo termine sono stati deportazioni e campi di concentramento che hanno colpito gli ebrei tedeschi e russi, e poi in tempi più recenti anche in decine di paesi di africa e medio oriente.

Ci sono stati altri libri scritti consapevolmente che hanno avuto e stanno avendo ancora effetti distruttivi come il “Meinkampf” scritto dal baffetto di cui a inizio articolo, o il “Libro Rosso” di Mao. I morti causati dalla rivoluzione culturale in Cina, probabilmente, non si riuscirà mai a contarli tutti.

Nel momento in cui è nota la potenza distruttiva dello strumento in questione, la penna, l’idea di mettersi a scrivere e pubblicare un libro dovrebbe essere quantomeno oggetto di riflessione.

Invece molti di noi si buttano a pesce nell’impresa perché… eh, scrivere è dannatamente piacevole.

Anche io, nello scrivere ‘sto papiro, sto provando un certo piacere eh?

Ma alla domanda “Qual è lo scopo” so rispondere: parlare del libro scritto dal Gen. Vannacci e farlo con cognizione di causa.

Ho detto che è un libro scritto “Sottilmente Male” e avevo bisogno di tutto ‘sto preambolo per sottolinearne gli aspetti fondamentali.

1) Lo ha scritto un generale dell’Esercito Italiano, una persona che ha un curriculum degno di onore e una cultura decisamente superiore alla media, per lo meno nel suo settore di lavoro: le arti belliche. Persona che s’è distinta anche in ambito civile perorando la causa dei soldati intossicati (e spesso uccisi) dall’uranio impoverito usato in certe munizioni.

2) Parla di ciò che l’autore pensa, non della realtà.

3) Spesso si avvale di articoli scientifici, di testi autorevoli per suffragare le proprie affermazioni.

Il primo impatto che ho avuto con il testo è stato il “Disclaimer” da perfetto ingenuo in cui annuncia che

“Se ne consiglia la lettura ad un pubblico adulto e
maturo in grado di comprendere gli argomenti proposti
senza denaturarli, interpretarli parzialmente o faziosamente
compromettendone, così, la corretta espressione e
l’originale significato.”

No, generale, non funziona così. Se pubblichi devi accettare il fatto che CHIUNQUE potrà acquistare, leggere e commentare il suo libro e sarà libero di pensare quello che gli pare.

Non contento prosegue:

“L’autore declina ogni responsabilità in merito a
eventuali interpretazioni erronee dei contenuti del testo e si
dissocia, sin d’ora, da qualsiasi tipo di atti illeciti possano da
esse derivare. “

Forse da un punto di vista civile e penale può anche pensare di cavarsela in questo modo. Ma è tautologico. Per la Legge Italiana ognuno di noi, con la maggiore età, diviene responsabile delle proprie azioni.

Se dico “Ah, ‘sti ladri, bisognerebbe prenderli e impiccarli tutti” posso essere accusato di “incitazione all’odio e all’omicidio” cosa che può tradursi in un processo penale e se viene dimostrata la correlazione tra queste mie parole inserite in una proposizione ipotetica e un atto scellerato che condanno a priori, una condanna a prescindere da quanto io possa condannare l’omicidio.

Però quello che si becca l’accusa di omicidio volontario è chi ha impiccato il ladro, non chi ha augurato la morte per impiccagione a tutti i ladri magari perché in un momento di rabbia s’è trovato a dire quella frase sciagurata. Dura lex, sed lex.

Manca del tutto il solito disclaimer iniziale, lo scarico di responsabilità, per “riferimenti persone realmente esistenti o fatti  accaduti deve essere considerato puramente casuale” e anche questo non serve nel momento in cui si lanciano accuse contro una persona o se ne attacca l’onorabilità.

La persona attaccata ha tutto il diritto di querelare l’aggressore e trascinarlo in tribunale, o ne hanno il diritto i suoi eredi.

Il punto è che nel momento in cui pubblica un libro deve accollarsi, le piaccia o meno, tutte le responsabilità del caso.

E pure: se impugna un’arma si prende le responsabilità del suo utilizzo.

E la penna, come ho detto poc’anzi, è un’arma.

Proseguiamo e cito:

“Il conflitto generazionale è sempre esistito, sia ben
chiaro, gli usi e i costumi evolvono, cambiano, si adattano,
ma quello che percepisco non è assimilabile alla normale e
diversa prospettiva che sussiste tra la vecchia e la nuova
leva, ma consiste in un capovolgimento totale dei valori e
delle certezze nelle quali siamo cresciuti e per le quali ci
siamo impegnati assiduamente nel lavoro, nell’educazione”

In un contesto del genere solo un generale può parlare di “Leva” invece di “Generazione” o “tra i vecchi e i giovani”. Ma andiamo avanti.

“[…]da quando Cartesio ha pronunciato il
fatidico anatema “Cogito ergo sum

Perché anatema? Un anatema è una maledizione, una scomunica e per estensione una “condanna sine die per qualcuno o qualcosa”.

“Il buonsenso costituisce quindi la chiave per
approcciare le tante problematiche che affliggono
il nostro paese sgomberando la mente da interpretazioni
discutibili e settoriali e
ritornando ai fondamentali,
a concetti semplici e
chiari che dovrebbero
costituire il tessuto connettivo
del vivere civile.”

Problematiche… parola che detesto e che è in odore di fuffologia applicata, che qualunque editor avrebbe bollato come da sostituire con “i tanti problemi che affliggono… “, e che è propria di un gergo da riunione aziendale in sostituzione della locuzione “tanti problemi messi insieme e che è difficile o impossibile risolvere tutti insieme senza ricorrere all’outsourcing”.

Se in una riunione di lavoro ha senso, perché il tempo è poco e occorre generare profitto non perdersi in giri di parole, in un libro dove si ha tutto il tempo per leggere, pensare, ragionare e giungere a una conclusione… che senso ha?

Tutt’al più quello di mettere fretta al lettore così da alterare il suo pensiero e allinearlo con il proprio.

Credo che il buon Robert Cialdini avrebbe qualcosa da dire al riguardo anche se, credo, il signor Vannacci non sappia nemmeno chi sia.

Le “Armi della Presuasione” e “della Persuasione” sono, appunto, armi e se non le sai usare potrebbero colpire anche te allo stesso modo che se per vedere se una pistola è carica ti metti a guardare dentro la canna o a scarrellare a casaccio senza aver messo la sicura.

Esamino un ultimo punto, poi basta:

il Vesuvio ed i Campi Flegrei
potrebbero detonare in qualsiasi momento ed inghiottire
milioni di partenopei tra cenere e lapilli;

Al di là della d eufonica, nel libro ce ne sono oltre 600 (la maggior parte delle quali utilizzate ad cauda felis perché scrivere “a là cazzo de cane” mi pareva scurrile) e che fino a questo punto non avevo considerato perché non volevo scrivere un trattato di grammatica, ho iniziato a riflettere io e a farlo in qualità di curatore editoriale, come un editor.

Ho compreso che ci sono molti termini che il nostro amico generale non conosce bene o che utilizza in base alla propria personale esperienza.

Detonare: perché? Perché ha usato quel verbo invece di quel che fanno i vulcani quando svolgono il loro mestiere?

Perché l’autore è prima di tutto un soldato, un militare, uno che è abituato che quando qualcosa esplode è sempre frutto di una detonazione?

Signor Vannacci, le giuro, dentro i vulcani non c’è alcun detonatore e a nessuno è mai saltato in testa di far detonare un vulcano neanche se avesse potuto. Ah, non era questo ciò che intendeva, bensì “detonare” nel senso di “esplodere”.

I vulcani eruttano, signore.

E Cartesio non scagliò un Anatema quando disse “Cogito ergo sum” maledicendo così l’intera razza umana, o l’etnia dei Sapiens Sapiens frutto dell’unione tra Sapiens e Neanderthal e solo Dio sa cos’altro. Ah, neanche questa era sua intenzione? Bene, ma non benissimo, perché non ho proprio compreso il suo pensiero. E no, non è un mio problema: da autore so fin troppo bene che quando un lettore non ha capito qualcosa dei miei scritti la responsabilità è solo mia. E questo vale anche per lei.

Più avanti definisce gli omosessuali e tutti i non etero dicendo una cosa tipo “non siete persone normali” e qua riesco anche a difenderla perché fin dall’inizio del libro ha specificato il suo concetto di normalità e a quello si è riferito quando ha formulato una delle frasi additata come tra le più infelici del libro.

A definirla “infelice” non son stato io, ma tanta critica proveniente da giornali, riviste e compagnia bella.

E a sostegno di questa tesi c’è la sua intervista che circola su YouTube in cui spiega bene cosa intendeva dire. Le sembrerà strano, ma sono d’accordo con lei.

Sono d’accordo nell’affermare che se per un “etero” la normalità sono rapporti eterosessuali, tutti gli altri non sono normali. Solo avrei espresso il concetto con la locuzione “siete diversi da me”, sarei stato più preciso e non avrebbe dato adito a critiche sterili. Magari a quel punto avrebbe trovato un’altra locuzione ancora, più vicina al suo sentire e al pensiero che voleva giungesse chiaro al lettore.

E qui arrivo al “scritto sottilmente male”: non ci sono grossi errori a parte un uso smodato delle d eufoniche dal punto di vista ortografico e sintattico, ma il lessico usato porta a interpretazioni davvero differenti rispetto ciò che desiderava comunicare.

Cosa voglio dire con questa lunga discussione? Voglio dire, caro Generale, che il prossimo libro lo scriverà in coppia con un editor, uno bravo, che saprà suggerirle tutte quelle modifiche capaci di trasformare le sue idee in concetti condivisibili e uguali per tutti i lettori.

Che saprà temperare i rozzi tentativi di manipolazione inseriti nel testo e tramutarli in opera di educazione e formazione, così da portare avanti le sue idee in modo autorevole.

Ora come ora il suo libro, il suo Mondo al contrarioè comprensibile in modo esatto solo a lei e (forse) a chi condivide il suo modo di esprimersi.  E questo accade perché l’utilizzo che fa della lingua italiana è fortemente condizionato dal suo vissuto e dalla sua educazione.

Potrebbe ribattere “ma è così per tutti” e io le risponderei, stavolta come scrittore e persona competente nell’uso di un’arma come la penna, no, non è così, non per tutti.

Uno scrittore, uno bravo, possiede un ventaglio diafasico che lei neanche sa cos’è e a cosa mai potrebbe servire. E no, non sto sblindando la supercazzola come fosse Ugo Tognazzi quando impersonava il Conte Mascetti.

Il ventaglio diafasico di una persona è il numero dei registri espressivi che possiede. Per dirla con parole sue, se la penna fosse un’arma, ogni ramo del ventaglio diafasico sarebbe un tipo di munizione differente e uno scrittore (e ancora di più un editor) possiede la competenza per sapere come usare ognuna di esse al fine di raggiungere un preciso bersaglio e ottenere il risultato voluto.

Uno scrittore in gamba conosce il pubblico a cui si rivolge e parla con la lingua di quel pubblico, non con la propria. Porta avanti i propri pensieri, le proprie idee attraverso la lingua di chi quelle parole dovrà riceverle e sa escludere gli altri, sa rinunciare a far arrivare la propria voce a tutti o anche sa come formare il pubblico per insegnargli qualcosa che fino a quel momento ignorava.

“Il mondo al contrario” parla la sua lingua, generale, la lingua di un soldato, di un militare di lungo corso, e non la lingua delle persone a cui il libro è arrivato. Non riesce, proprio perché imbevuto della sua cultura e della sua esperienza, a farsi portavoce del suo pensiero tant’è che adesso deve dare spiegazioni a tutti: ai giornalisti, ai colleghi, ai suoi superiori e alla politica.

E deve pure affrontare delle conseguenze impreviste e derivate dalla pubblicazione di ciò che ha scritto.

Conseguenze – signore – che avrebbe potuto evitare se, prima di imbracciare la penna e usarla in modo non consapevole, si fosse domandato “cosa sto facendo?” esattamente come immagino sia accaduto quando, in missione, ha dovuto prendere una decisione cruciale.

E nel momento in cui si fosse accorto di non avere una risposta pronta, ma al contrario del campo di battaglia aveva tutto il tempo per decidere, avrebbe potuto contattare un editore che le avrebbe detto “oh, non si preoccupi, la affido alle cure del nostro miglior editor e ne uscirà un un bestseller”.

Ho sufficiente esperienza per dire che sarebbe andata così.

Anche se non fosse andato da un editore, ma avesse semplicemente acceduto a uno dei tanti gruppi di discussione a proposito di scrittura, le avrebbero detto tutti di servirsi di un editor, un professionista della scrittura capace di dirle come modificare il testo per renderlo fruibile e comprensibile al pubblico di riferimento.

Invece no. Ha preso il libro e l’ha caricato su KDP in formato cartaceo magari dopo averlo fatto leggere a qualche amico e ricevuto commenti molto positivi, in barba a ogni regola del buonsenso, quello stesso buonsenso con cui ha introdotto il suo “mondo al contrario”.

Be’ a quest’ora s’è accorto da solo che pubblicare in questo modo fa danni. Fa danni a lei, per le conseguenze che la pubblicazione ha avuto sul suo lavoro.

Fa danni perché mette in testa ai nuovi autori che ogni anno si affacciano sul mercato editoriale che si può pubblicare in self qualsiasi cosa (e spesso manco si prendono la briga di correggere gli errori, ammesso che sappiano farlo) e ottenere un successo travolgente come il suo e dunque degli oltre 60.000 titoli sfornati ogni anno da penne di varia bravura se ne salva meno del 10%, il resto è un rodimento di gomiti di chi, come me, si sbatte per produrre letteratura non dico di qualità, ma fatta bene. Perché moltissimi di questi titoli avrebbero potuto essere bei libri, se solo gli autori avessero fatto quello sforzo in più e invece di pubblicare subito avessero imboccato la via dell’editing o, quantomeno, del confronto con altri autori attraverso il beta-reading. E a me piace leggere bei libri e di fronte alle occasioni mancate ci rimango davvero male.

Fa danni a questo benedetto e assurdo bel paese perché rinfocola le credenze limitanti che bloccano la politica in una palude fatta di “eh, ma tanto è tutto un magna-magna”, “er più pulito c’ha la rogna” o “sono tutti ladri perché questo è un paese di ladri e disonesti” come diceva Celentano tanti anni fa.

Blocca la politica, quella sana, quella che spinge un cittadino a candidarsi e a portare avanti gli ideali che condivide con i suoi sostenitori e a credere di poter cambiare il mondo in meglio. Così che i soliti noti possono continuare a occupare la poltrona che gli è tanto cara e mantengono il mondo al contrario che tanto le dispiace.

Mi auguro che prima di pubblicare il prossimo libro, perché sono abbastanza certo che lo farà visto il successo che ha avuto, stavolta si prenderà la briga di ingaggiare un editor e pubblicare un lavoro all’altezza delle sue capacità. Mi auguro pure che da adesso il detto “ne uccide più la penna che la spada” abbia più senso anche per lei.

Se mai leggerà questo articolo.

Andrea Venturo

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