Tharamys

Una storia vecchia di 4500 anni

In realtà è anche più antica e, probabilmente, avrei dovuto intitolare l’articolo “una storia vecchia un milione di anni”.

4500 anni fa, lungo le rive dell’Eufrate, fu composto un poema epico dedicato a “Gilgameš”, il mitico re della città di Uruk. Re saggio e forte, Gilgameš compie una serie di imprese che entrano nella leggenda come domare il guerriero primevo Enkidu e trasformarlo in un potente alleato, sconfiggere il temibile Hubaba, il divino guardiano della foresta di cedri (probabilmente dietro c’è una storia legata al commercio del legname con i fenici), rifiutare una divina proposta di matrimonio nientemeno che da Ištar la splendente dea dell’amore e del sesso (e insomma, ce ne vuole per resistere a una proposta del genere), sconfiggere una bestia spaventosa tiratagli contro dalla dea stessa dopo il suo rifiuto e via così fino alla conclusione con la morte di Enkidu e il commovente incontro con lui che dal regno dei morti gli racconta della vita ultraterrena. Gilgameš era ossessionato dall’idea di divenire immortale con le proprie forze, alla fine comprende l’inutilità del proprio gesto e consapevole del destino, che tocca a tutti gli uomini, diviene un re ancora migliore, più saggio e capace.

Può sembrare una storiella tutto sommato uguale o simile a quelle che si raccontano su vari personaggi di tante epoche “mitizzati” e tramandati in veste divina o semi-divina… e lo è e vi invito proprio a riflettere su questo aspetto.

Mille e trecento anni più tardi, sempre da quelle parti, veniva scritto l’Enuma Eliš, altro poema epico stavolta con il dio Marduk protagonista, alle prese con la creazione del mondo e poi contro gli altri dei per stabilire il proprio predominio.

Parallelamente nascevano le storie di Noè, Mosè e i miti che diedero forma alle costellazioni così come le conosciamo. Tanto gli eroi biblici, che quelli legati ai miti delle costelazioni si comportano, nella sostanza, come l’eroico Gilgameš. Compiono un viaggio e una serie di imprese per poi fare ritorno trasformati e capaci di superare tutte le difficoltà che gli si pongono davanti. La storia di Mosè poi è strapiena di effetti speciali, nei miti relativi Zeus e il cielo invece è l’eros a fare da padrone: ho perso il conto delle fanciulle sedotte e poi rese madri dal divino signore dei cieli e che si concludevano con la nascita di un pupino che Era, la moglie di Zeus, per cancellare le tracce dell’infedeltà tentava di uccidere in modi molto spettacolari.

Che la civiltà ellenica fosse principalmente maschilista non ci son dubbi, ma c’è da dire che a confrontare i miti greci con quelli sumeri, ebraici, atzechi, orientali e… tiratene fuori un altro che volete, ma troverete sempre la stessa struttura. Il viaggio più famoso di tutti, l’Odissea, è pure là che ci aspetta e l’Eneide di qualche secolo dopo, racconta dell’ultimo dei Nostoi i ritorni degli eroi di cui l’Odissea è un capitolo. Poi abbiamo un periodo di buio a causa della caduta dell’impero romano, ma con Dante Alighieri il tema del viaggio ritorna prepotente e avvincente come mai: “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai in una selva oscura, che la diritta via era smarrita” hop presi. Forse il momento più emozionante per me è stato il superamento della famigerata porta “Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate”.

Su questa teoria Cristopher Vogler scrisse il famoso saggio “Il Viaggio dell’eroe”, ma prima di lui Joseph Campbell parlò dell’eroe dai mille volti, prima ancora ci fu Vladimir Propp che con la sua “Morfologia della Fiaba” aveva gettato le basi per i lavori di Campbell e Vogler. Tuttavia altri, prima di Propp, avevano notato le somiglianze e tentato di capire il modo in cui funziona la narrazione. Sicuramente il lavoro di Vogler è quello più articolato e soddisfacente, come spiegazione. Il sugo della storia è che se si racconta qualcosa seguendo lo schema del “viaggio” di cui magari accennerò qualcosa (ma tanto wikipedia è strapiena di informazioni al riguardo) si ottiene immediatamente l’attenzione del pubblico. Che si tratti di un romanzo, una presentazione o di fare pubblicità a un prodotto, lo schema del viaggio è il sistema migliore per trasformare uno spettatore accidentale in un pubblico attento.

Perché?

Torniamo un po’ più indietro, più o meno al paleolitico. La scrittura non era stata ancora inventata, il modo migliore per passare informazioni tra una generazione e l’altra era il racconto. Se il racconto funzionava i giovani riuscivano ad apprendere come, dove e quando cacciare; come, dove e quando raccogliere bacche, frutta e radici e poi, circa 10000 anni fa nel neolitico, come preparare un terreno per la semina, irrigare eccetera. Tutto spiegato a forza di racconti e, forse, pitture e incisioni rupestri. Se il racconto non funzionava i giovani non apprendevano, la caccia andava male e magari lo sfortunato cacciatore faceva una brutta fine. Allora la storia non veniva più tramandata, questo è ovvio. Viceversa una storia che funzionava garantiva la sopravvivenza di tutta la tribù e, di generazione in generazione, diveniva più forte.

Questo spiegherebbe perché già 4600 anni fa l’epopea di Gilgameš segue in modo pressoché perfetto l’arco di trasformazione del personaggio così come lo conosciamo oggi. Un eroe che cresce, cambia e si adatta grazie all’esperienza accumulata è garanzia di sopravvivenza, quello che ha da raccontare non solo è piacevole, ma tornerà prima o poi utile.

Quale che sia la spiegazione, se legata alle memorie ancestrali o meno, il viaggio dell’eroe funziona e raccontare una storia senza rispettare le varie fasi della narrazione equivale a scrivere una storia “senza sugo” come diceva il Manzoni. Eh già: i promessi sposi. Renzo, per ritrovare Lucia, ne fa di strada eh?  E che dire di “Ismaele” quando si mette in testa di andare per mare e si ritrova sul Pequod agli ordini del capitano Achab?

Il bello è che a sfruttare “il viaggio dell’eroe” per fare altro, se compatibile con una struttura narrativa, rende moltissimo ai fini dell’apprendimento e quindi della trasmissione dell’informazione. Se riuscissi sempre a sfruttarlo sarei uno degli scrittori più abili del pianeta. E non solo: quando si propone una presentazione, quando si pubblica un articolo di cronaca (che sia nera o sportiva non fa differenza), si cerca di vendere o pubblicizzare qualcosa ecco che il “viaggio” è lo strumento ideale per generare nello spettatore quel senso di appagamento e soddisfazione che scatena in pochi secondi la memorizzazione a lungo termine del messaggio. Per fortuna che l’uso di questo strumento richiede tempo e spazio che mal si conciliano con i costi di una pubblicità.

In conclusione la storia dell’eroe ci accompagna (come specie) fin da quando abbiamo inventato il linguaggio, continua anche oggi a svolgere un ruolo fondamentale nella vita di tutti i giorni nonostante la più che veneranda età e nonostante sia sempre la stessa storia da oltre 4500 anni.

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