Tharamys

Non in senso Anafestico

adolfoCieli

Un po’ di tempo fa… era marzo 2018, mi son ritrovato sotto al fuoco incrociato dei Parolanti: un’allegra brigata di persone che giocano con la scrittura con la stessa leggerezza di un Ronaldo col pallone. Durante la giornata animata da Laura Massera e Nicola Pera mi è sfuggita la promessa di pubblicare un racconto dove, per motivi di… studio, trolleggiavo un innocente fanciullo a suon di supercazzole brematurate al fine di scippargli un videogioco. Bene. Ci è voluto un po’, ma eccolo… aggiustato e sistemato in modo da essere leggibile. Il titolo?  Quello in cima alla pagina, direi che è proprio il suo e il faccione di Adolfo Cieli che c’entra? C’entra, c’entra. Leggete e se riuscirò a strapparvi una risata o due ben venga, ma ricordatevi che è riso amaro.

Il mio nome è… Nettuno, a dire il vero è un altro, ma com’ è che si dice in questi casi? Ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente accidentale e allora mi nascondo anche io, che dopotutto sono il protagonista. C’entro poco col dio dei Mari… il nomignolo mi è stato appioppato in un’altra storia, nel lontano 1978 e da allora me lo sono tenuto caro.

Col mare c’entro poco: se posso lo evito, eppure navigo moltissimo. Il mio mare si chiama internet e la mia nave macina gigaherz e fila a venti megabit al secondo se ha il vento in poppa. Niente di eccezionale, ma nemmeno lo sparuto guscio di noce da 14.4kb che avevo nel ’92. Qualche volta devo tuttavia approdare a terra per prendere una boccata d’aria, un pezzo di ricambio per i miei computer, o magari un videogioco nuovo… senza trascurare altre cose come riempire la cambusa di cibo o tenere il guardaroba decentemente pulito.

Stasera è proprio una di “quelle volte”: sono appena uscito dal mediaworld e sono le 20 del 22 dicembre del 2008. Mi sento cattivo, arrabbiato e stanco dopo aver affrontato due ore di coda in cassa per acquistare una scheda video. Gente col carrello strapieno di cose: rasoi, asciugacapelli, friggitrici… oggetti superflui da rifilare al prossimo perché “è Natale” e bisogna fare i regali. Bestie! La data non cambia mai, alle persone cui regalerete quegli oggetti procurerete solo il fastidio di decidere cosa se ne faranno e a voi interessa solo di fare bella figura regalando un oggetto “di classe”. Comprato al Mediaworld. Comprateli prima: ad agosto ci sono gli sconti e non c’è fila, così a chi gli si rompe la scheda video sotto la vigilia di Natale regalerete come minimo due ore in meno di coda!

Odio il Natale… o meglio odio l’atmosfera che s’è instaurata negli ultimi 25-30 anni con la corsa al regalo e tutto il resto. Avrei voglia di prendere tutti questi signori “benvestiti” e “benpensanti” e di sbatterli a servire pasti caldi alla mensa di S. Egidio. O a portare coperte ai barboni o a svolgere qualche altro servizio più utile.
Uscire dal grande magazzino mi regala una boccata d’ossigeno. Parco “Da Vinci” è il contraltare di Parco Leonardo che sorge dall’altro lato dell’autostrada Roma-Fiumicino e se quest’ultimo è un enorme palazzo chiuso con più di 200 esercizi inzeppati in un palazzo di due piani, il “Da Vinci” è un chilometro quadrato di negozi sparsi tra vie colorate e alberelli addobbati a festa. Fa ugualmente schifo, ma almeno l’aria è libera… se escludiamo i gas di scarico degli aerei che vanno e vengono dall’aeroporto.

Un urlo lacera l’ultima strofa di Jingle Bells diffusa a ripetizione dagli altoparlanti. Mi accorgo di quanto fossi nauseato dalla musica grazie al sollievo che sto provando nell’udire la rabbia unita alla frustrazione di qualcun altro.
Cerco con lo sguardo la fonte dell’esplosione vocale di pochi istanti fa.

«ADESSO LA RIPORTIAMO INDIETRO E TI FAI RIDARE I SOLDI E NON TI AZZARDARE

MAI, MAI PIU’ A FARE UNA COSA DEL GENERE!!!»

Non è difficile: sono quasi accanto a me. Lui è il tipico adolescente brufoloso: quattordici, quindici anni di strafottenza concentrata su una delle mattonelle del marciapiede, ma poco più alto e grosso di quella che deduco essere la madre. Tondeggiante, ben vestita e mi sembra incredibile che in meno di un metro e sessanta circa, ci possa essere tanta energia frustrata. Mentre li osservo al riparo di un alberello carico di melancole e vestito a festa come un abete di Time Square vedo che la donna vorrebbe prendere a schiaffi l’ex moccioso due a due finché non gli diventano dispari, ma non osa. Il ragazzo è grosso rispetto a lei e si vede lontano un miglio che ne ha paura. Dimostra poco meno di 50 anni, ma non riesco a decidermi se il merito è dell’abito attillato, della pettinatura stile fata turchina o del trucco da sedicenne.

Sono appena usciti dal mediaworld come me e come me hanno entrambi qualcosa in mano. Nella busta che lei ha appesa a un gomito c’è il classico campionario di regali comprati all’ultimo momento: DVD, una friggitrice e un tagliacapelli. Penso che sui DVD le scelte sono mera questione di gusti: diversi dai miei, la figgitrice se la può tenere e il tagliacapelli non mi serve più dato che ormai tra la capigliatura della mia testa e una delle mie ginocchia non c’è più alcuna differenza. Poi noto che il ragazzo stringe qualcosa in mano.

Sembra un cestino per il pranzo, di quelli vecchio stile fatti di lamiera e con la chiusura a bottone. Mi colpisce lo sguardo cupido di lui, rafforzato da sopracciglia folte e nere che lo fanno somigliare a Stefano Belisari da bambino. Sorrido mentre immagino di trovarmi improvvisamente dentro una delle situazioni cantate dagli Elio e le Storie Tese. L’altoparlante continua a torturarmi con Jingle Bells e mi viene voglia di infilare una banana dentro la cassa che rumoreggia nascosta nella melancola sopra la mia testa.

«QUANDO TUO PADRE VERRÀ A SAPERLO… » la canzone nasconde il resto della minaccia, ma non la mano libera della signora che si agita e manifesta tutta la stizza provata nei confronti di un individuo sul quale ormai, da tempo, non esercita più alcun controllo.

Muovo un passo per mettere l’albero di melancola tra me e i due così da continuare a osservarli. Mi sto divertendo e a casa mi aspetta solo David, il mio computer, in attesa di una scheda video nuova. L’ho chiamato così in ricordo di un amico che me ne ha suggerita la configurazione e, scheda video bruciata a parte, ne sono rimasto piacevolmente soddisfatto.

In un lampo comprendo cosa sia accaduto: la scatola che c’è tra le mani del ragazzo è scivolata con discrezione tra gli oggetti acquistati mentre la cassiera, solerte, passava tutto sullo scanner. La donna ha pagato senza batter ciglio, probabilmente con la carta del marito, e s’è accorta del fattaccio solo dopo essere uscita all’aperto.

Dovrebbe ringraziare suo figlio: le ha impartito una lezione fondamentale e cioè quella di controllare lo scontrino prima di abbandonare la cassa, non quando è inesorabilmente tardi e tutto quello che si può fare è prendersela là dove non batte il sole.

Il moccioso tace, ma il mio istinto conosce bene il valore di quel silenzio. Sta aspettando che la madre completi il suo sermone e gli permetta di tornare a casa con il suo bottino. Noto finalmente cos’e’ la scatola: un gioco per playstation, uno degli ultimi usciti e pure in versione “collector edition”.

Bei gusti, devo riconoscerlo: il moccioso sarà anche antipatico, ma sa scegliere.

La mia testaccia vuota comincia a ronzare.

So di possedere immaginazione e intuizione in abbondanza, doti buone per portare a termine l’1% di qualsiasi lavoro, in compenso so essere deciso e rapido quando occorre.

E allora, parafrasando Mario Monicelli, eccomi  pronto ad unire fantasia, intuizione, decisione… e rapidita’ di esecuzione, mentre nel ginocchio cui somiglia la mia testa ha preso forma un piano. Rozzo, certo, primitivo perfino, ma qualcosa di inesplicabile mi dice che funzionerà.

Mi faccio avanti, con discrezione, quel tanto che basta per sentire il moccioso che con voce di uno che ha appena fatto dei gargarismi con la limatura di ferro esclama:

«A ma’, nu’rompe, e’ solo un gioco… e poi i soldi mica te li ridanno, al massimo te fanno un buono»

Caso piu’ unico che raro, capisco dove vuole andare a parare.

Forse ha visto troppe volte i film di Carlo Verdone e sta tentando di fare lo spiritoso.

Anche a me piacciono i film… ma preferisco “Amici Miei”.

Dentro di me penso: “preparati, bambinio mio, perche’ ora zio Nettuno ti ruba le caramelle”.

Mi avvicino a passo veloce, risoluto.

«DAMMI QUELLA SCATOLA» grida la madre. Il colore paonazzo della faccia di lei supera anche il dito di fondotinta che ha spalmato per nascondere le rughe. Mi sforzo di non sghignazzare mentre mi avvicino, eseguo un perfetto mezzo inchino e dico: «Buonaseta signora come se fosse Natale, ma gli auguri. Posso esserle d’aiuto?»

La donna mi scruta come se fossi sbucato dal nulla, cerco di sembrare quanto più innocente e angelico possibile. Dentro di me raggiungo uno stato di convincimento totale. Desidero proprio aiutarla, voglio sembrare un viso amico in un momento di smarrimento.

«No, si… forse… vede, mio figlio si e’… sbagliato e ha preso una cosa che non doveva…» mi risponde incerta.

Ha abboccato.

La sua confessione semplice, quasi commovente, mi distrae per un istante dal mio bieco proposito, ma quella che ormai chiamo “La voce del Sassaroli” urla dentro di me:

Potevi stare piu’ attenta a quello che combinava il tuo pargolo, vecchia rincoglionita, mentre ti infilava la scatola del gioco tra i dvd e il tagliacapelli.

Alfeo Sassaroli, personaggio creato da Mario Monicelli e magistralmente interpretato da Adolfo Cieli. Sento che la mia voce gli somiglia in qualche modo. Bene! Vuol dire che oltre a far qualcosa di buono per me e per la signora, stasera onorerò la memoria di un grande. 

Sorrido e riverso nella mia espressione tutta la stima e l’amore che ho per quel personaggio.

Noto con piacere che il marmocchio ha smesso di fissare la scatola e ora mi osserva con la stessa attenzione di un giocatore di poker.

Fa bene a preoccuparsi. In questo momento per lui rappresento una variabile non calcolata, una carta estratta dal mazzo degli imprevisti, l’imponderabile, l’accidente o probabilmente il suo primo vero e autentico cetriolo: piombato all’improvviso quando ormai pensa di avere la vittoria in pugno. Neanche ci crede, è ancora troppo giovane, troppo inesperto: finora ha potuto confrontarsi solo con una vecchia rimbambita e un padre inesistente contro i quali deve aver vinto sempre, anche barando come quella sera.

Ora osserva, ragazzo, come gioca un uomo e impara: quando sarai più grande probabilmente ti ritroverai anche a ringraziarmi, ma tra poco mi odierai a morte.

Noto con piacere, come se il tempo stesse scorrendo al rallentatore, che la bocca del ragazzino ora ha la forma di un “oh”.

«Si, capisco» gli dico parlando il più velocemente possibile «vede sto tornando in negozio per farmi cambiare la batteria del mobail, cavaduri se è una brutta ogna, ma devo aggiungerci anche un’antenna treggì per l’uemmetiesse» adesso rallento il ritmo e scandisco bene le parole, così da far giungere il messaggio a destinazione «il prezzo più o meno si avvicina a quello del gioco finito accidentalmente nella sua borsa della spesa» e indico la scatola ben serrata dalle mani unticce, ora improvvisamente pallidissime del ragazzo.

Come da programma la signora finge di capire la prima parte, ma la sua attenzione è massima mentre il mio discorso torna a essere comprensibile. Proseguo col mio piano: «Le do 50 euro in contanti per la scatola e lo scontrino, mi aspetta qui, faccio tutti i cambi, faccio io la fila per lei e alla fine le riporto lo scontrino stornato cosi’ la garanzia per gli altri acquisti rimane valida, che ne dice?»

Il marmocchio spalanca la bocca, vorrebbe dire “che è mobail? Uemmetiesse treggì? Cavaduri?!? Ma che dici?”, ma ho fatto apparire una baconota da 50 euroi in mano, la signora non ci pensa due volte, la afferra ed esclama: «Dagli la scatola!» finalmente la voce è ferma ed ha un tono che è un piacere ascoltare «SUBITO!»

«MA che ‘vvoi, astronzo! Mavaffancu… » la salva di parolacce, giunge tardiva e suona patetica, quasi commovente, ma la stronco sul nascere col mio solito garbo.

«Lemanotto io! Cosa crede? Io non sono suo padre e nemmeno sua madre, quindi se lo dice un’altra volta si ritroverà appiccicato al muro prima ancora di dire ANTANI e non in senso ANAFESTICO, ha capito? E ZITTO!» sto improvvisando, il Sassaroli che c’è in me si manifesta in tutta la sua potenza con un’ottava più in basso rispetto alla voce stridulo-gracchiante del moccioso, e godo come non mi capitava più da anni. Il tono è duro, libero la furia che vorrebbe farmi appiccicare al muro quel giovanotto sfacciato e tutti quelli che stasera sono in giro a creare traffico nella spasmodica ricerca di un “regalo per Natale”. La concentro nel diaframma che mi ritrovo così a usare in tutta la sua estensione, la mia voce suona diversa, profonda come se fossi diventato veramente Adolfo Celi e stessi realmente interpretando il Sassaroli anche se per un pubblico di una sola persona.

La mia mano afferra la scatola e la strappa senza garbo. La sua mano cede, sa di aver perso ed è completamente disorientato: credo sia la prima volta che una delle sue “marachelle” finisce tanto diversamente da come era abituato.

Qualcuno guarda nella nostra direzione. È tempo di infierire e chiudere la questione:

“Vae victis”.

«Signora, se questo qui ha una paghetta»  e indico il volto sgomento del moccioso «io al posto suo gli farei pagare almeno la cifra che non posso darle con il cambio»

«Solo?» risponde la donna, il tono della voce deciso e risoluto, finalmente, e stavolta mi spavento io: sembra diventata un’altra persona «Penso proprio che pagherà tutto… per lo scontrino non fa niente: ne ho pagato la registrazione così posso farlo valere anche se il cartaceo va distrutto; si è fatto proprio tardi, la ringrazio tanto, ma devo andar via: buonasera». Non le domando Che fine ha fatto la donnicciola rincoglionita e poco attraente che stava per farsi fregare dal proprio figliolo per l’ennesima volta perché ho voglia e fretta di concludere.

Tira uno scappellotto al moccioso, ora in lacrime, gli ordina di seguirla senza fiatare e si avviano tutti e due verso l’automobile. Lei sta camminando a una spanna da terra, felice di aver ribaltato le sorti di una battaglia che credeva ormai perduta, come tante altre prima di quella.

Forse, dopotutto, ho davvero fatto un favore a entrambi.

Rientro al mediaworld.

È l’ora del trionfo.

«Mi scusi» dico alla guardia «ho sbagliato a comprare il gioco, non mi sono accorto di aver preso la versione per playstation3 e a me serviva quella per windows» dico mostrando scatola metallica e lo scontrino»

La guardia mi indirizza verso il banco del servizio alla clientela.

La ragazza dietro al bancone prende la scatola e lo scontrino, in cambio mi da un buono da spendere pari a 84 eur. Emetto un fischio. Ricordavo che i giochi per PS costano molto di più di quelli per Windows, ma non ricordavo quanto.

Su cosa fare con la differenza ho pochi dubbi: un bel libro.

La scelta ricade su Gomorra, di Saviano; ci aggiungo un pacchetto di batterie stilo che tornano sempre utili et voilà più o meno arrivo alla cifra ottenuta in cambio di 50 euro e una supercàzzola brematurata con scappellamento a destra.

Mentre le mani sono serrate sul volante della mia ‘600 diretta verso a casa, non riesco a smettere di canticchiare “Bella figlia dell’amore” e pregusto il momento in cui aprirò la scatola piena di cose che rendono felice un videogiocatore incallito come me, insieme alla sottile soddisfazione d’aver “scappellato a destra una supercazzola” come solo gli “Amici Miei” riuscivano a fare.

Dopo tanti anni cupi questo è il mio primo, vero, felice Natale.

Spero ce ne siano altri.

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