Tharamys

Bastet

BastetQuesta storia ha avuto una genesi complessa. Inizialmente ci fu Maurizio Vicedomini che bandì un concorso attraverso la sua rivista online “grado zero“, per riscrivere dei “classici”. Mi concentrai sui Gatti di Ulthar, una storia felina di Lovecraft, ma ambientata in Italia ai giorni nostri. Non riuscii a produrre nulla entro i termini del concorso, ma dopo il primo gennaio 2019 mi arrivò, purtroppo, l’ispirazione. Perché purtroppo? Leggi fino in fondo questa breve storia, non ti porterà via molto tempo. Ti avverto fin da ora: finirà male e ne sarai felice.

D’altro canto quando una storia finisce bene la domanda che deve nascere in una persona sana è: “Bene per chi?”

***

La gatta era là, il pelo grigio striato di nero, che si leccava una zampa tenendo la coda dignitosamente raccolta attorno al corpo.

La testa era di nuovo al suo posto, un po’ affumicata ma integra.

Gianluca la fissò con i suoi occhi color nocciola, grandi e rotondi come se fossero stati disegnati da Schultz. Per scherzo sua madre lo aveva soprannominato Charlie Brown quando era piccolo.

Questo ricordo lo mandava in bestia, anche in quel momento.

Lei gli aveva persino regalato un maglione giallo con il fregio nero uguale a quello del personaggio delle strisce a fumetti.

Lui lo aveva bruciato, di nascosto, dicendo poi che lo aveva perso.

La gatta continuava a fissare un punto situato dietro le sue spalle, donandogli la straordinaria sensazione che solo un gatto riesce a dare: quella di essere il centro della sua attenzione eppure di essere completamente ignorato allo stesso tempo.

«VIA DALLA MIA MACCHINA BESTIACCIA!»

L’urlaccio eruttato dalla gola diede fondo a tutta la potenza di cui disponeva, e non era poca, ma sortì anche l’effetto desiderato. La gatta svanì in un turbinio di zampe che slittavano sul cofano liscio della panda.

Gianluca era grosso, palestrato e gonfiato a suon di integratori. In sala pesi alzava bilancieri da centoventi come riscaldamento, poi cominciava il lavoro serio con manubri caricati fino a centosettanta chilogrammi. Aspirava ad alzare almeno il doppio, il suo allenatore era contentissimo e lui pure.

Salì a bordo della panda color colica, e avviò il motore. “Colica” era il nome che il Baviat, al secolo Francesco Baviato uno dei suoi migliori amici, aveva tirato fuori appena aveva visto la vettura nuova fiammante. Un altro che avesse osato proferire quel commento sarebbe stato appiccicato al muro, ma Francesco e Gianluca si conoscevano fin dalle elementari e avevano riso insieme di quella strana versione di giallo non proprio esaltante.

La serata di capodanno era finita da schifo: i buttafuori del Blue River li avevano invitati a uscire e prendere un po’ d’aria poco prima della mezzanotte, e visto che era il 31 dicembre questo voleva dire che l’intero anno era finito in merda.

La macchina singhiozzò un paio di volte, avrebbe dovuto portarla dal meccanico una volta o l’altra, ma un po’ per paura della spesa, un po’ perché comunque continuava a macinare chilometri e, si sa, le panda sono indistruttibili, aveva sempre posticipato il controllo.

Il GRA scorreva tranquillo sotto di lui, quando una voce miagolò dal sedile posteriore.

«Te lo avrei succhiato volentieri, dico davvero»

Gianluca scrutò nel retrovisore, ma non vide nessuno. Solo per un disperato colpo di sterzo non finì contro il guard-rail.

«Chi ha parlato? Chi c’è?» il suo respiro era velocissimo, troppo, si impose la calma o avrebbe rischiato un incidente serio. Avrebbe voluto fermarsi, ma sul Grande Raccordo Anulare si rischiava più a star fermi che a procedere, anche tenere la velocità sbagliata equivaleva a un mezzo suicidio.

«Se solo tu avessi usato un poco di gentilezza avrei portato qualche allegra novità sulla punta del tuo pisello, invece del solito tran tran a mano libera» la gatta scivolò tra i sedili e si sedette su quello del passeggero, incurante delle reazioni del guidatore.

Gianluca la seguì con la coda dell’occhio, cercò di rilassarsi pensando a come doveva avere le ossa… anche se era sicuro di avergli fatto saltare la testa con un petardo solo mezz’ora prima. Poi si concentrò sulla guida: Assurdo pensò avrò bevuto troppo… se la benemerita mi ferma mi si incula a passo di cavalletta…

Una gatta morta era appena resuscitata e gli stava parlando dal sedile del passeggero. Ricordava bene la bravata di poco prima. Coi suoi amici aveva scommesso di farsi fare un pompino al veglione di capodanno, ma nessuna delle ragazze presenti in discoteca li aveva filati di striscio e di lì a poco uno dei buttafuori li aveva accompagnati, già alticci, a festeggiare sotto le stelle. La stazza del tipo e le cicatrici in faccia ai suoi compari avevano detto tutto quel che c’era da sapere sulla risposta da dare. Arrabbiati, delusi e annoiati (e con qualche litro di birra in corpo) avevano adocchiato una gattina che si aggirava nel vasto parcheggio del locale e Gianluca aveva avuto “l’idea” per vincere la scommessa e vendicarsi delle gattemorte presenti alla festa.

Aveva afferrato la bestiola, attirata dai gesti dell’uomo come se stesse offrendo del cibo, e poi dopo averla strusciata contro la patta dei calzoni aveva ricevuto un paio di zampate e una soffiata. Aveva tentato di divincolarsi con più energia, ma lui l’aveva ben trattenuta.

«Ahem» la voce della gatta si intrufolò nei suoi pensieri «stai dimenticando che, col tuo arnese in bella mostra, mi hai ordinato “a micia, famme ‘n pomponio” in un modo assolutamente ineducato e sgarbato, mentre i tuoi compari sghignazzavano e ridevano del fatto che “manco ‘na gatta rognosa te se ‘ncula”. Allora, invece di prendere a sprangate quei due, e nonostante la mia educata richiesta di essere lasciata andare… hai notato che non ho usato artigli anche se lo avresti meritato? Mi sa di no. Mi hai fracassato le costole e la spina dorsale contro un palo della luce. E questo non ti è bastato vero?»

«T’aricordi tutto eh?» Gianluca ascoltava come in trance: che fosse stato uno scherzo del Baviat? Magari ce sta lui anniscosto dietro ar sedile posteriore? Però la voce nun è la sua. Sembra quella de ‘na regazza… voi vede’ che è una delle troie der Blue River, magari quella moretta che ha chiamato er buttafori?

« “Adesso te faccio vede io, chi te credi da esse? ‘na dea?”» la gatta imitò la voce di Gianluca, anche se di un’ottava più alta strappando al suo proprietario un mezzo ghigno. «Eh no, caro mio, non sono una dea, ma quando mi hai infilato quel petardo in bocca avevo ancora sei vite da giocare, solo che facendomi saltare la testa me lo hai impedito»

Gianluca ridacchiò «A chi tocca nun s’engrugna» sentenziò citando un detto di sua nonna e pregustando un fine-serata assai più succulento. Ora era sicuro: la voce veniva dal bagagliaio, c’era una ragazza nascosta e gli stava facendo quello strano scherzo. Magari gli aveva visto l’uccello e gli era venuta voglia di provarlo.

La gatta annuì «Ben detto, ma anche se non sono una Dea, a lei ho chiesto aiuto e mi ha ascoltata»

«Ah ah ah, bella questa, dio nun ce sta mai pe’ l’ommini figurete pe’ li gatti!» la risata di Gianluca squassò l’abitacolo, ma la bestiola restò a fissarlo con il tipico sguardo di superiorità felina. L’uomo rabbrividì: sembrava proprio che fosse la gatta a parlargli e direttamente nella sua testa, non da dietro come aveva creduto.

«Tsk tsk, umano, che ne sai? Cinquemila anni fa la nostra specie era adorata come un dio, mentre quel vecchio barbogio cercava di attirarsi le simpatie di un gruppo di pastori della palestina. Non mi sono certo appellata a lui, né a quel biondone di suo figlio che tanto vi piace vedere frustato e inchiodato su una croce… certo che, quanto a sadismo, sapete come far rumore voi umani. Tuttavia mancate di stile. Insomma: occorre dare alla preda una speranza, farla combattere fino all’ultimo… ma che ne sai tu che cosa vuol dire davvero giocare con la vita altrui? Hai una vita sola e hai paura di perderla anche quando te la prendi con una creatura indifesa come me. Comunque stai allegro! Bastet mi ha ascoltata e quando ha saputo che non hai ricevuto quanto avevi richiesto ha deciso di accontentarti.»

«Cos… »

«Hai capito benissimo, umano» la gatta continuava a fissarlo, senza mai abbassare lo sguardo «Bastet, adorata dagli egizi che se ne intendevano davvero, la dea-gatta in persona verrà qui e sarà proprio lei a soddisfare la tua richiesta e ti farà un… pomponio»

«Gesù!» Gianluca guardava la strada e teneva d’occhio la gatta. Un brivido colse le sue mani che divennero fredde, incapaci di lasciare il volante e dare un colpo a quella bestia insolente.

«Capisco che duemila anni fa avete dato un calcio nel sottocoda agli dei per andar dietro al figlio del baciapastori, tuttavia qui stiamo parlando di Bastet: una dea capace di incenerire con solo sguardo una regione grande quanto l’asia minore e l’India messe insieme. Sarà lei, non il palestinese biondo, a porre i suoi occhi e le sue labbra su di te, penso che troverai la cosa piuttosto… com’è che dite voi umani? Ah, sì! Intensa.»

***

Nicola Giraldi scese dalla volante e scrutò la scena, di nuovo incredulo. La panda si era fermata esattamente sette chilometri dopo aver preso fuoco mentre sfrecciava a oltre centotrenta chilometri orari, come se la vittima fosse riuscita a guidarla fino all’ultimo o se qualcuno fosse stato con lui e avesse provveduto a fermare l’auto a bordo strada senza mandarla a sbattere, nonostante le fiamme che divoravano l’abitacolo. I segni delle bruciature sull’asfalto non lasciavano dubbi eppure ne creavano di enormi.

Anche questa vittima era al volante, carbonizzata, le mani fuse dal tremendo calore con la plastica dello sterzo e un cratere al posto dell’inguine come se gli avessero sparato tra le gambe con un bazooka. Tutto identico agli altri due. Al primo aveva creduto che fosse stato un petardo molto potente, quando aveva visto il luogo del secondo incidente-fotocopia si era spaventato e adesso questo: il terzo incidente avvenuto praticamente alla stessa ora e con le stesse identiche modalità degli altri due.

Chiamarlo incidente gli costava molto sforzo, ma chiamarlo omicidio scatenava domande di cui non era certo di voler trovare una risposta. Il colpo all’inguine, sparato con qualcosa che aveva disintegrato solo una parte del corpo della vittima, ma non il sedile sottostante. Colpo sparato dall’interno della vettura da sotto al volante. L’assassino era dentro la macchina… tre assassini con la stessa arma? O uno solo che, chissà come, si trovava anche a Guidonia e a Gallicano dove erano stati segnalati gli altri due “incidenti”? Il colpo aveva incendiato il resto del corpo che era stato letteralmente cotto dall’interno, almeno così aveva borbottato il patologo giunto con lui sulla scena dei tre incidenti. E come al solito il dottor Moretti non faceva altro che ripetere in termini più scientifici ciò che i suoi sensi e il suo intuito gli suggeriva. Aveva visto altri cadaveri bruciati nell’incendio della loro vettura e questi avevano la bruciatura al contrario… cioè, da quello che era riuscito a vedere grazie ai danni dell’immensa ferita all’inguine l’interno dei corpi stava messo peggio dell’esterno.

Impossibile che la morte fosse stata causata da qualcosa di diverso: erano stati colpiti tutti e tre allo stesso modo riportando i medesimi danni e la stessa impossibile espressione sul volto congelata dalla morte e dalla furia del fuoco, ma in tutta la sua carriera non aveva mai visto armi capaci di infliggere quello che aveva visto su quei cadaveri.

Il terzo morto di quella sera si chiamava Gianluca Artemanni, gli altri due erano Riccardo Borselli e Francesco Baviato. A quanto poteva vedere dai loro profili social si conoscevano da tempo ed erano andati a festeggiare capodanno insieme al Blue River di Zagarolo una specie di discoteca travestita da agriturismo, da cui erano stati buttati fuori per ubriachezza molesta; il Borselli aveva qualche precedente per reati contro il patrimonio, ma niente di più grave che aver incendiato un gattile e molestato un gatto. Nulla che facesse sospettare un regolamento di conti… eppure gli pareva proprio un’esecuzione in piena regola. Questo pensiero gli dava i brividi perché la sua mente gli elencava le caratteristiche che avrebbe dovuto avere il killer che aveva eseguito la sentenza e il fatto che indossasse una tuta ignifuga era solo l’ultimo dei dettagli.

Una gatta grigia a strisce nere sbucò da dietro il guardrail e lo fissò per un istante. L’idea che fosse stata lei balenò per un attimo tra i suoi pensieri; immaginò che per qualche torto subito avesse ucciso quei tre come era sicuro che faceva col sorcio che aveva la sfortuna di finire tra le sue zampe.

«Magari te lo sai com’è che è andata» il sorriso sornione della gatta lo spinse ad aggiungere «Sì che ce lo sai, ma nun me lo dirai mai vero?»

 

Anche il collega Stephen King diceva “a volte ritornano” e dunque la micia è tornata e, se pure solo tra le righe di questo racconto, ha trovato vendetta e giustizia per mano di una dea dimenticata da millenni. Perché te l’ho raccontata? C’erano più scopi e visto che sei arrivato a leggere fin qua forse puoi darmi una zampina. Perché la prossima volta che sentirai di un gattile andato a fuoco, di un animale martoriato o qualche altro fattaccio di cronaca forse avrai la ventura di sentire o di leggere sui social qualcuno che se ne vanta e allora usalo quel telefono e segnala il fatto alla polizia. Vedrai che, anche senza l’aiuto di una dea, la giustizia farà il suo corso e un po’ alla volta certi comportamenti contro gli animali verranno eliminati anche grazie al tuo aiuto.

C’è un terzo motivo: la notte di capodanno 2018-2019 a una povera gatta è stata davvero fatta saltare la testa con un petardo. Se condividi questa storia aumenterai le probabilità di far saltare fuori gli assassini cui la polizia non farà un “pomponio”, ma di certo non lascerà i colpevoli privi di altri ricordi altrettanto… com’è che dite voialtri? Ah sì.
Intensi.

Buon Anno Nuovo.