Tharamys

Orchi

OrcoGli Orchi.

La parola “orco” a me evoca il vecchio “Ucci ucci ucci sento odor di cristianucci”, la cantilena intonata dall’orco cattivo delle fiabe mentre dava la caccia al protagonista di turno, rigorosamente bambino e rigorosamente pronto a sconfiggere con l’astuzia l’orco cattivo.

Ci sono molti punti di contatto con il nostro mondo: per prima la cantilena che inizia con “Ucci ucci ucci”, probabilmente la translitterazione del grido di guerra dei predoni tartari, quando con le loro scorrerie imperversavano ovunque al grido di “Ushi Ushi Ushi!” e che ricordava un po’ quello dei guerrieri apache nei film western. Altro punto di contatto è la parola “Orco” che ha origini tutte latine con radici etrusche.

Si tratta di una… entità, con caratteri divini che gli etruschi annoveravano tra i carnefici delle anime e i a cui i romani tributarono lo status divino, associandolo poi alla figura di Pluto-Ade. Pluto, cioé ricco poiché dio del sottosuolo custodiva anche tutte le ricchezze in esso contenute. Se pure tramutato in dio, Orcus era seguitissimo nelle zone rurali dove invece si pregavano gli antichi dei e l’iconografia che lo raffigura è quello di un gigante barbuto e peloso, divoratore di anime.

Per arrivare all’elfo caduto e tramutato in essere bestiale bisogna affrontare prima la mitologia Norrena che ci consegna l’Orc-Néas, cui appartiene il terrificante Grendel antagonista di Beowulf a seguire la lettura di Chrétienne de Troyes, dove nel Perceval si incontra l’ogre, termine che appare in quasi tutti i manuali di GDR fantasy e poi dell’Orlando innamorato, dove si incontra una figura bestiale con “zanne di cinghiale”.
Se pure il mito di Beowulf è del VIII secolo, il termine Orc deriva dal latino Orcus… e sempre li si va a finire.

Chi ha trasformato definitivamente il vecchio OrcoAdePlutone in una razza micidiale e temibile è stato Tolkien che, con un’abile operazione letteraria ha preso tutti gli elementi, dalla mitologia classica a quella Norrena fino ad inglobare l’opera del Boiardo, facendo confluire tutto in una creatura detestabile, orrenda, fetida e della cui morte, tutto sommato, ci importa in quanto facente parte, senza soluzione di continuità, della schiera dei cattivi.
Spero che il Vecchio J.R.R.  non mi venga a tirare le coperte stanotte, per averlo messo accanto a figure quali Matteo Maria Boiardo e Chretiénne De Troyes.
La razza degli Orchi che popola Tharamys è vicina alla creazione tolkeniana se pure ampiamente contaminata dalle invenzioni di Gary Gigax e Peter Jackson (Dungeons & Dragons e G.U.R.P.S., rispettivamente), ma ci sono dei grossi punti di differenza.

Senza scomodare troppo gli dei, che comunque abbiamo visto essere molto attivi su Tharamys, prima di parlare dei miei Orchi, è meglio inserire qualche nota storica.
La “razza” degli Orchi, in questi luoghi, esiste da circa 50000 anni: da quando un cataclisma (ovvero: l’ultima scaramuccia tra divinità) ha sconvolto un angolino di quella strana super-terra a forma di bottiglia di Klein che è Tharamys, dando origine alle Brulle.

Alcune enclavi elfiche situate ai margini della zona di distruzione totale vennero investite dall’intenso flusso di radiazioni, anche se incredibilmente resistenti ad ogni malattia nota e ignota, gli Elfi hanno i loro limiti. Nello sciagurato caso avvenuto 50000 anni prima gli elfi mutarono pesantemente e non fu piacevole per nessuno. Tranne per gli orchi e per Wu-Masau che li aveva creati. Ci sono responsabilità elfiche al riguardo, ma ne parlerò in un altro articolo.

Il loro ciclo riproduttivo accelerò enormemente, divenendo breve quasi quanto quello degli umani, ma la loro speranza di vita rimase pressoché inalterata, con un vistoso rallentamento della crescita durante le fasi iniziali della vita. L’intelligenza che li caratterizzava divenne meno spiccata, ma comunque rimase a livelli accettabili, guadagnarono in compenso forza e resistenza che divennero assolutamente abnormi, pari alle dimensioni dei loro corpi. La pelle acquisì un colorito malsano a metà strada tra il verde-palude e il giallo-colica, l’accrescimento delle ossa ebbe come conseguenza anche una pesante alterazione dei lineamenti che divennero più marcati e bestiali, mentre la vista divenne molto meno acuta al di fuori delle tre dimensioni spaziali cosa che gli fece perdere quasi del tutto la capacità di lanciare incantesimi in sicurezza.
Le nuove creature mantennero con i loro “antenati” solo le orecchie a punta, per il resto nulla più avevano a che fare. Anche l’amore per la natura fu soppiantato da un odio sconfinato verso la luce solare, che gli ricordava la perdita della Vista che possedevano quando ancora potevano chiamarsi elfi.

La mutazione non ha alterato solo le caratteristiche morfologiche di queste creature che hanno, da subito, mostrato una certa predilezione per la creatività, la violenza ed il caos.
A dispetto degli archetipi trasmessi da Tolkien e sodali, i miei orchi sono creature piuttosto diverse. Vivono sottoterra, come i Nani, ma prediligono le pianure rocciose: più facili da raggiungere per le loro prede abituali, vale a dire chiunque osi passare vicino uno dei loro fortilizi ipogei. La struttura sociale è fortemente militarizzata, ma equanime: maschi e femmine sono considerati in modo paritario. Hanno un ciclo vitale pari a quello degli elfi, o poco meno: un orco da queste parti potrebbe raggiungere tranqullamente i 2000 anni di vita, ma di solito va incontro ad una fine violenta quando inizia il declino fisico intorno ai 5-600 anni… se riesce a vivere tanto: la loro “giovinezza” è lunghissima, non meno di 100-150 anni e in questa fase gli individui non sono fertili ed il tasso di mortalità è estremamente elevato.

Trattandosi di una società di cacciatori-raccoglitori, in senso proprio, la vita media di un orco è piuttosto breve: 70-80 anni quando va bene, altrimenti anche meno. Sembra un controsenso, ma in realtà è meno complicato di quanto sembri: una coppia di orchi “adulti” puo’ figliare numerosissime volte, considerando un figlio ogni due anni (in media) e una vita media (per chi raggiunge l’età adulta) di 600 anni per le femmine e 500 per i maschi, possono mettere al mondo circa 300 individui.Appena nato l’orco non è più temibile di un neonato umano. Per i primi 4 anni di vita il “bebe’” necessita di cure, poi inizia il cambio di dentizione e comincia una crescita esponenziale che lo porta al primo stadio di crescita: alto quasi quanto un elfo, più robusto e molto meno intelligente. Quando dico molto meno intendo dire davvero meno. La maturità sessuale arriva tardi: circa 150 anni dopo (se sopravvive), quando l’orco diviene adulto e termina il processo di crescita, acquisendo (nel corso del tempo, se sopravvive) i caratteri tipici della sua razza: stazza quasi doppia rispetto alla giovinezza, zanne pronunciate, velocità, potenza e resistenza fisica sopra la media (in particolare la resistenza e la resilienza che sono quasi pari a quelle dei nani) e un’intelligenza distorta e bizzarra, ma non per questo meno efficace. I primi 100-150 anni di vita di un orco sono all’interno di una struttura militare dedita alla razzia e al saccheggio agli ordini degli anziani: quegli orchi che superata l’adolescenza sono divenuti progenitori di una stirpe. Se l’orco diviene adulto, non può comunque lasciare la vita militare finché non trova un partner stabile con cui generare una stirpe e anche qui i  rischi per la sua incolumità sono elevati. I modi per procurarsene uno, maschio o femmina che sia, sono tutti violenti e prevedono:

1) Gloria in battaglia, ovvero aver catturato non meno di mille prede. Dico catturato e non ucciso, perché gli orchi non sanno conservare molto bene la carne: alcune popolazioni la essiccano o la affumicano, ma secondo loro senza un po’ di sangue che sgocciola non è buona.

2) Vittoria sui nemici: combattere per conquistare i favori di un partner. In questo le femmine sono le più letali.

3) Vittoria contro gli avversari: sfidare (e spesso uccidere) un orco di rango più elevato per prenderne il posto. È il modo più comune per acquisire potere nella società orchesca ed essere notati da potenziali partner.

4) Divenire adepto e poi sacerdote di Wu-Masau, il dio adorato dagli orchi. I preti non sono ben visti, ma dato che le preghiere verso il dio conferiscono poteri magici per molte cose utili come vincere in battaglia, sanare le ferite, migliorare le proprie prestazioni e molto altro, sono tollerati e a volte anche stimati. Sebbene i sacerdoti non hanno interesse in compagni e compagne diversi dal loro dio preferito non è raro che qualche individuo venga scelto per attività di concubinato.

5) Divenire servo della comunità: al raggiungimento dell’età adulta molti orchi acquisiscono inclinazioni meno bellicose. Questi ultimi abbandonano la vita guerriera e ogni desiderio di diventare membri influenti della propria comunità. Per ovvi motivi questi individui sono considerati dei paria, reietti che non dovrebbero nemmeno esistere, ma per i quali c’è una sorta di muto rispetto. Da questi individui dipende il 99% delle attività della comunità: l’agricoltura, la produzione di manufatti in metallo, la sartoria… tutto.

6) Abbandonare la tribù.

Da quanto si evince alla voce numero 5 appartiene la maggior parte della società orchesca, che deve sia badare a se stessa sia rifornire la cosiddetta aristocrazia guerriera di ogni bene e servizio necessario diverso dall’addestramento militare. Ai figli dei paria è fatto comunque obbligo di servire nell’esercito e, giocoforza, gli viene offerta la possibilità di entrare a far parte dell’aristocrazia.  In questo senso la società orchesca è schietta e onesta: sei ancora vivo? Evidentemente lo meriti. Per contro i “servi” dipendono in toto dall’aristocrazia per i rifornimenti di materie prime, carne, sementi, ogni cosa.

Dunque l’esercito svolge il ruolo di ascensore sociale e lo fa in modo molto efficiente, portando all’eliminazione o all’esclusione dalla vita politica dei soggetti meno adatti. Per capire chi è adatto e chi no molte tribù orchesche, anche per liberarsi degli eccessi di popolazione, organizzano ciclicamente dei raid nella Casa di Roccia. Questi ultimi vengono pianificati in modo che la ritorsione si scateni contro qualche altro elemento pure inutile, agli occhi degli anziani della tribù. Non è raro che alcune rivolte di servi siano state stroncate nel sangue dall’arrivo di una pattuglia di Nani. Questo sistema, tuttavia, non è scevro da rischi: è accaduto che più di un’enclave orchesca venisse spazzata via a causa di qualche errore nella gestione.

Esistono poi orchi detti “randagi” o “erranti”, si tratta di individui che per qualche motivo hanno abbandonato la tribù di origine e vagano per la superficie e il sottosuolo di Tharamys per i motivi più vari. Di solito, a causa dell’odio che tutti i popoli civilizzati nutrono contro gli orchi, la loro vita è ancora più breve con alcune rarissime eccezioni. Le eccezioni danno origine, di solito, ai mezz’orchi. Ne esistono di tutte le razze. I più comuni sono i mezz’orchi umani, a causa dell’abbondanza di questi ultimi, tuttavia esistono anche mezz’orchi elfi ed elasson (sic!). Non si ha notizia di mezz’orchi nani, ma questo non vuol dire che non esistono: fanno solo attenzione a non farsi scoprire, per ovvi motivi.

I randagi, per sopravvivere, a volte riescono a diventare soldati mercenari, ma solo nel caso in cui riescono a temperare il loro carattere irruento e rissoso in modo da rivolgere la propria ferocia contro bersagli qualsiasi, anche altri orchi. Esiste un battaglione orchesco tra le fila dell’esercito Maorni, ad esempio e le loro doti di guerrieri sono molto apprezzate e stimate dagli altri soldati. “Meglio con me che contro di me” è il loro motto.

Di solito a divenire randagi sono solo i maschi, le femmine preferiscono dedicarsi alla “famiglia” e a lasciare la vita militare non appena diventano capaci di procreare: puntano a conquistare un maschio (a volte più d’uno) e a tenerselo ben stretto il più a lungo possibile.

Per tornare alla domanda inespressa: come fanno gli orchi a non saturare tutto lo spazio a disposizione, visto che si riproducono come umani e vivono a lungo come gli elfi? Semplice: si autodistruggono.

Sotto questo aspetto sono molto umani.

Una tipica cittadina orchesca di solito è situata in un complesso ipogeo naturale, a cui vengono poi aggiunti tunnel e camere ulteriori, man mano che la comunità cresce. Si possono osservare più livelli: uno superiore e vicino alla superficie dove vive l’aristocrazia guerriera, cui toccano i compiti di caccia e raccolta, ma anche di difesa, uno intermedio dove sono situati i quartieri degli anziani aristocratici, le strutture di culto e di servizio, un terzo più basso e vasto dove vivono i servi.

Tutte le caverne sono illuminate in qualche modo: la vista degli orchi è buona in presenza di una luce, se pure minima. Di solito le loro caverne sono illuminate da Chenglühwürm, vermi luminosi che costellano le volte e parte delle pareti delle caverne con filamenti di bava appiccicosa. L’effetto è molto scenografico: la volta sembra costellata di tanti piccoli soli, ma guai a quella creatura che osa avvicinarsi a tanta meraviglia: i Chenglühwürm sono lunghi anche tre centimetri sono carnivori e dotati di un aculeo velenosissimo. Finire contro i loro fili di bava significa svegliarli e farli accorrere con una velocità sorprendente. Normalmente si cibano di tutte quelle creature più piccole di un pipistrello, ma quando qualcuno è così incauto da farsi pungere da uno di loro si trasformano in una sorta di sciame, migrano su di lui appena muore e lo disintegrano in pochi secondi riuscendo a digerire anche le ossa.

Gli orchi sfruttano queste capacità dei vermi per illuminare le proprie dimore, per liberarsi degli scarti di cibo e, una volta che il verme è privato del suo aculeo, come stuzzichino sfizioso. Ogni tanto qualche servo muore punto (e giocoforza sbranato) dai vermi: normale conseguenza del vivere accanto a creature simili. Considerato che i Chenglühwürm sono le creature meno pericolose che si aggirano nel sottosuolo di Tharamys, ci si potrebbe domandare come mai ci sono ancora orchi a questo mondo. La risposta è ancora una volta semplice: non sono così deboli come raccontano le leggende cantate dai bardi. È’ vero che i nani ne ammazzano a decine, ma si tratta degli individui più deboli e che, comunque, sono destinati a morire nel duro ambiente dove vivono entro pochi anni. È vero che la maggior parte degli orchi che attacca le comunità di superficie sono giovani, deboli e inesperti per cui anche un contadino armato di forcone ha qualche speranza di sopravvivere in un corpo-a-corpo, ma è pure vero che quando un esercito di orchi “regolari” con più di 150 anni di esperienza sulle spalle si mette in movimento… ci sono poche cose come un battaglione Nanico in assetto da combattimento per fermarli e di solito fa più danni dell’orda di cui sopra.

L’ultima considerazione riguarda la tecnologia orchesca. La parola che meglio definisce il loro concetto di tecnologia è improbabile. Un esempio è il loro efficientissimo (e letale) sistema di illuminazione e smaltimento dei rifiuti organici, ma anche il modo in cui forgiano armi ed armature ha dello straordinario: attraverso i loro sciamani aprono dei portali temporanei sul piano elementale del fuoco, vi infilano il crogiolo carico di minerale e dopo pochi minuti lo estraggono incandescente e con la fusione pronta per gli stampi. Talvolta lo sciamano sbaglia e insieme al crogiolo esce qualche creatura che deve essere subito ricacciata a suon di secchiate d’acqua e di sabbia, pena la cottura di tutta la squadra.

Le loro armi hanno pure un’aspetto bizzarro e stravagante, come le loro asce da combattimento che possono agganciarsi per i manici e trasformarsi in una pole-axe in pochi istanti, sganciarsi con la stessa semplicità e diventare armi da lancio capaci di tornare indietro se non colpiscono il bersaglio… e  mutilare (o uccidere) chi le ha lanciate se ha commesso qualche errore.

La tecnologia militare, in particolare, ha qualcosa di inquietante e straordinario al tempo stesso come si potrà scoprire leggendo il quarto racconto sulle avventure di Conrad, che mentre scrivo queste righe sta prendendo forma e non ha ancora un titolo. L’ascia di cui sopra è solo uno dei tanti aspetti, il veleno dei Chenglühwürm finisce sistematicamente sulle punte delle frecce e dei giavellotti, realizzati con la corazza degli scorpioni giganti che usano come cavalcature e, all’occorrenza, come carri armati. Ecco, provate ad immaginare uno dei miei orchi con 200 anni di battaglie sulle spalle, con in pugno le asce di cui sopra mentre cavalca una bestia con otto zampe, due chele spaventose e una coda munita di pungiglione grondante di veleno. Vien voglia di dire: “Che ci faccio con ‘sta spadina? Datemi un BFG10K !!”.

Lo so, avrei potuto dire “bazooka”, ma poi avreste cliccato sul link? E poi il BFG per chi ha giocato con Doom e successivi, ha tutto un altro fascino. Per non parlare della speranza di riuscire a fermare il bestio di cui sopra.

Ultima, ma non meno importante, è la vita religiosa degli orchi che ruota attorno al culto di Wu-Masau. Il nome di questa divintà significa più o meno “Tenebra che Divora” e nasce da un’idea (abbiamo visto che da queste parti le idee possono anche essere mangiate, o divorare chi le ha pensate) comune a tutta la cultura elfica riguardante la morte. Per gli elfi la morte è solo un passaggio ad uno stato superiore, dove il corpo non è più necessario e viene lasciato indietro. È convinzione che il corpo debba essere riassorbito dalla natura e che ci sia una divinità che si occupa del lavoro. Nel corso degli eoni questa divinità ha preso il nome e le sembianze di Wu-Masau, dato che il processo di decomposizione non è mai stato visto in modo positivo proprio dagli elfi stessi. Questo atteggiamento ha fatto si che Wu-Masau divenisse la nemesi perfetta per la razza elfica e trasformasse gli orchi nel suo strumento di distruzione principale, specie nei confronti degli elfi. Difficilmente si trova un’enclave orchesca priva di un tempio dedicato al dio in questione e quando se ne crea una, là dove i sacerdoti non riescono a penetrarvi, si scatena l’ira del dio stesso che di solito si conclude con la distruzione dell’enclave e un destino peggiore della morte per gli orchi traditori. A meno che un altra divinità non accetti di prendere l’enclave di cui sopra sotto la propria protezione… ma è davvero raro che accada.

Talvolta però accade davvero.

In conclusione: i miei orchi sono parecchio lontani dall’archetipo “sfregiato, con la maschera e la voce grossa”. Sono astuti, adattati ad un ambiente ostile e con una divinità piuttosto incline alla violenza a guidarli. Direi che somigliano più ai klingon di star trek che agli elfi decaduti di Tolkien. Senza dubbio è duro essere un orco… ma attenti a quelli con più di duecento anni e con due strane L di acciaio in mano. Non sembra, ma possono colpire anche in quel modo e… oh si, fare altrettanto male.

/ 5
Grazie per aver votato!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.