Tharamys

Vuoi scrivere Fantasy? Pensaci bene.

Davvero vuoi scrivere Fantasy? Cos’è? Ci hai pensato prima di dire questa frase geniale anzichenò? Sai che sti stai per gettare (o sei già) in un’impresa estrema? No eh?

È difficile scrivere fantasy, anche il worldbuilding richiede precisione.

Probabilmente ti sarai messo in testa, o qualcuno ti avrà messo in testa, che scrivere fantasy è facile. Puoi inventarti tutto ed è tutto vero perché lo hai immaginato tu.
Aha.
Ti sfugge qualche piccolissimo dettaglio.

Si, vabbe’ ma quanti siete?

Il mio professore di musica diceva sempre che per fare musica occorre essere in due. Uno che suona e uno che ascolta. Se no non stai facendo musica, tutt’al più ti stai concedendo un onanismo musicale… sarebbe come a dire che, metticaso che stai suonando un pianoforte, stai tentando di procurarti piacere usando quello, invece di qualche altro… uh… strumento più indicato. Per creare la “magia” della musica ci vuole anche almeno una persona che ascolti e che possa ricevere le emozioni che hai riversato nella melodia e trasmesso attraverso lo strumento. Funziona così per ogni forma di espressione artistica: chi crea l’opera e chi la fruisce devono essere due persone distinte e differenti.  A questo punto però cominciano le difficoltà.

Se scrivi di narrativa contemporanea al posto dello sconosciuto Kadath o dell’altopiano di Etsiqaar hai la possibilità, non banale, di condividere la realtà con il lettore. Che vuol dire? Vuol dire che se parli di una Panda 4×4 verde con fascione paraurti grigio devi usare “solo” 6 parole per descriverla e questa subito prenderà forma nella testa del lettore con tutti gli altri dettagli. Una panda è una panda, non c’è molto da aggiungere. Altro discorso è se devi descrivere un drago delle nebbie, un Elfo Marino o un Elasson Incazzato Nero. Non hai idea di quanto possano essere pericolosi questi ultimi, ma per scoprirlo ti tocca leggere tutta la descrizione di un elasson e se lo scrittore non è state bravo ti ritroverai davanti la “carta di identità” del personaggio che verrà poi riproposta sempre uguale, o quasi, ogni volta che compare nella narrazione l’elasson o qualche suo parente. Nanoja pazzesca a voler evitare di essere triviali.

Siate leggeri!

La pesantezza delle descrizioni, nelle opere degli autori principianti, è quasi leggendaria e ti confesso che ancora oggi mi ritrovo a scrivere dei pipponi pazzeschi invece degli elementi letterari snelli ed efficaci che portano avanti la narrazione (e che sto cercando di spiegarti). Ti faccio un esempio tratto proprio dal mio ultimo romanzo: “Lo Specchio di Nadear”.
Gli Elasson sono creature appartenenti a una stirpe diversa da quella degli uomini. Vivono in media 7-800 anni, perché pochi muoiono di vecchiaia. La loro grande longevità, pari a quella di Nani ed elfi, li porta a guardare dall’alto in basso le stirpi (pare che il termine “razza” sia malvisto e quindi devo aggiornarmi) meno longeve… vale a dire gli umani. Nonostante questi ultimi siano grossi circa il doppio di loro. Inoltre amano il “bel mangiare” a tal punto che infilano termini culinari ovunque, mentre parlano con qualcuno o anche quando pensano.

Messa così è una rottura di coglioni di proporzioni epiche. Va be’ che è “Epic Fantasy”, ma se Howard avesse descritto la stirpe di Subotai con questa tecnica penso che avrei bruciato il libro prima ancora di leggere la terza pagina.

Cosa potevo fare? Quando ho cominciato (forse ormai dovrei usare il passato remoto: mica ho iniziato ieri a scrivere Fantasy) avrei usato qualcosa del genere, vale a dire il narratore onniscente che spiega al povero lettore mentecatto cos’è un elasson, magari dedicando un intero capitolo a questa nuova razza che va a sostituire gli Hobbit, gli Halfling, gli Gnomi e tutte le altre creazioni dell’immaginario di bassa statura e diversi dai Nani.

Datti delle regole e rispettale!

E adesso invece? Niente capitoli di spiegazione (una roba tipo il capitolo su Gertruda da Monza ne “I Promessi Sposi”), ma faccio muovere i miei piccoletti sulla scena rispettando le regole che mi sono dato.
A cominciare dai nomi: Rosa, Luigi, Giovanni: hanno tutti nomi “Italiani” e ben diversi da quelli tipici degli umani della zona come Conrad, Dorian, Jon che sono di derivazione germanica. Idem per i cognomi: quelli umani sono derivati dal veneto, mentre quelli Elasson (non importa in quale parte del mondo si trovino) sono sempre nomi italiani derivati dalla cucina: Grantavola, Abbiategrasso (giochino di parole), Scaldapentole, Pranzabene, Bottepiena sono solo alcuni esempi.
In questo modo mostro una prima, grossa, differenza di tipo culturale semplicemente scegliendo un insieme di nomi differente da quello cui appartiene il protagonista. Proprio come avviene da noi che, pur senza vedere una persona se sai che si chiama Somtow Sucharitkul sai anche che è improbabile che sia italiano e di origini italiane.

Non solo: tutta la loro cultura è dedicata al buon cibo, al mangiar bene e al mantenere buoni legami affettivi. Infine: dispongono di due abilità speciali. La prima riguarda la voce che comunica le loro emozioni in modo spesso involontario. Per esempio quando si arrabbiano la loro voce si sdoppia e arriva con due range di frequenze distinte, come se fossero in due a parlare. Poi vedono bene al buio, non necessitano di lanterne, quasi come gli elfi e la terza…  non posso rivelarla senza causare qualche spoiler, ma è legata alla fortuna sfacciata che sembra sorridergli quasi sempre.
In questo articolo ho speso qualche decina di parole solo per parlare di nomi e cognomi. Nel libro mostro nomi e cognomi, quando serve e con precisione. Non troverete mai un elasson che si chiama John o M’kele, mai. Inoltre il loro modo di parlare è spesso legato al cibo: “Porcapolenta!” o “Ora ti servo un bel piattino cucinato come dico io” sono la prima un’imprecazione e la seconda il preavviso di una vendetta imminente. “Storie senza sugo” (frase copiata dal Manzoni) è sinonimo di “frivolezze, chiacchiere” e così via. Per tutto il romanzo quando parlano gli elasson ci sono sempre citazioni culinarie nel loro modo di esprimersi: «Fatti una padellata di *zzi tuoi» o «Pensa a girare il tuo brodo» sono due inviti per la medesima cosa, a seconda di quanto è scorbutico (e triviale) chi parla. 
Infine: sono bassi. La loro statura media è inferiore al metro (Un piede kireziano = 99 cm, ma stiamo là). Anche in questo caso niente descrizioni relative la statura, ma azioni da parte dei personaggi. Conrad, che pure è un ragazzino di 12 anni, deve chinare la testa per guardare Rosa Abbiategrasso, che è una elasson di 600 e rotti anni. Rosa, quando Conrad entra per la prima volta al “Nano Felice”: la locanda di cui è proprietaria da quando Nadear è stata fondata, è visibile dietro al bancone e quando Conrad si avvicina salta giù dallo sgabello senza fare alcun rumore. Con una sola azione ho definito le capacità fisiche del personaggio: bassa, paffuta e agile, senza contare l’abitudine della signora di squadrare tutti dall’alto in basso, anche se la statura le rema contro. 

Niente descrizioni dirette, ma azioni che sono mera conseguenza delle caratteristiche fisiche. 25 anni di gioco di ruolo qualcosa mi hanno insegnato 😉

Così faccio sparire paragrafi e capitoli infarciti di spiegazioni e porta il lettore nell’azione. Ci penserà lui o lei a immaginare gli Elasson. Però la coerenza tra le informazioni veicolate attraverso la scrittura cresce e rafforza l’idea di essere davanti a qualcosa che mantiene la sospensione dell’incredulità e il patto narrativo, invece di distruggerli.

E quindi che devi fare?

Intanto scrivi. Scrivi quello che ti viene in mente, pure se si tratta di descrizioni verbose e sterili. Si può editare un brutto testo, ma non si può editare una pagina vuota. Poi separa le descrizioni verbose che metterai da parte e riscriverai sotto forma di “regolamento del mondo narrativo” e il resto lo riscrivi alla luce delle regole che avrai messo da parte. Facile? Per niente. Probabilmente ti ritroverai ad aver bisogno di una regola (tipo “il personaggio X deve essere alto 1.80 per superare la scena Y come dico io” e qualche scena più in là lo stesso personaggio “deve passare in un condotto dell’aria condizionata…” che quando sono grossi hanno 40cm di diagonale e reggono una decina di kg di peso) e due scene più in là ti ritroverai con un conflitto tra regole che manda all’aria la tua bella trama. Più regole devi inserire e più è facile creare conflitti che distruggono il patto narrativo, ma d’altro canto ora hai la possibilità di accorgertene prima di pubblicare.
Considera che quando ho cominciato dovevo riscrivere tutto il romanzo 5 volte. Non a caso il primo che ho pubblicato è lungo appena 52 cartelle. Il secondo l’ho riscritto pure 5 volte, e per produrre le 220 cartelle di cui è costituito ho impiegato 2 anni, ma il terzo l’ho riscritto appena 4 volte e ho impiegato 1 anno. Sull’ultimo… eh, sto avendo qualche difficoltà, ma dovrebbero essere necessarie appena 3 stesure e la terza sarà quella dell’editing. Sto imparando, ma è difficile. Il mio obiettivo finale è di produrre un romanzo all’anno con due stesure.
A parte le mie beghe mentali quello che devi tenere presente è che al lettore deve arrivare il minimo indispensabile per immaginare correttamente l’aspetto di un elemento fantastico, la sua essenza, la sua magia. Per “correttamente” intendo che gli elementi, che tu crei nella tua immaginazione e affidi alle parole, riappaiano così come li hai pensati nella mente di chi legge. E questo È difficile anche per gli scrittori veramente bravi, cioè non io. Non ancora almeno.

Per sport ho provato a scrivere una storiella ambientata nel nostro mondo, nel 1991 a Roma. Narrazione al passato, destinatario della narrazione (narratario) un personaggio terzo rispetto al lettore che si ritrova così a sbirciare nella corrispondenza tra due amici.

Scrivere fantasy è difficile! La realtà è più semplice.

Una pacchia! Ho scritto 80 cartelle in meno di una settimana, in due mesi ho editato e pubblicato. Raccontare di qualcosa che tutti conoscono, come la situazione di un liceo romano, è molto più semplice. Puoi essere creativo e inventare il tuo liceo, puoi inventarti i nomi dei professori e anche il nome della strada in cui si trova, ma non necessariamente hai bisogno di inventarti tutta una città (anche se alcuni scrittori lo hanno fatto), o proprio tutta una nazione con i suoi usi, i costumi, l’economia e tutto il circondario.

Spesso la realtà offre già tutto pronto, basta documentarsi a dovere che, sì, è un lavoro lungo e può diventare noioso, ma comunque è già tutto là… ecco, è come giocare ai lego.

Un conto è avere tutti i mattoncini belli e pronti e te devi solo montarli. Un conto è inventarsi i mattoncini di sana pianta, tutto il set, e fare in modo che la costruzione ottenuta si regga da sola. È difficile! Peggio mi sento con quei sotto generi del Fantasy dove gli elementi fantastici devono convivere con le regole del nostro universo. Nell’Urban Fantasy (il tipo di Fantasy più difficile da gestire) vanta autori del calibro di Zelazny, Schwanwick, Scott-Rohan, Anne Rice gente che ha introdotto il soprannaturale sotto varie forme e c’è riuscita con successo. I loro lavori sono credibili e, soprattutto, privi di quelle incongruenze che provocano il crollo dei mattoncini.

Il worldbuilding fa tutta la differenza.

Hai mai provato a mettere insieme due sistemi costruzioni differenti? È impossibile, o rompi i pezzi o li appoggi in equilibrio precario e preghi che non crolli niente. Così è per la struttura narrativa di un romanzo che implementa elementi noti al lettore (e si spera che l’autore li conosca molto bene) ed elementi non noti. Per esempio: la Magia. Ogni autore la descrive in modo autonomo, oppure non la descrive affatto lasciandola “in dubbio”. La classica differenza tra Hard e Low Magic, magia evidente e magia sottile… ecc… un esempio di magia sottile è Tolkien, uno di magia evidente o “Hard Magic” è Trudy Canavan (altra autrice molto brava con le ambientazioni). Qualcuno dirà Rowling… no, i libri di Harry Potter sfruttano l’Urban Fantasy, ma parlano di altro e la magia è un “di più” usato quasi come decorazione… quasi, sul finale poi diventa davvero necessaria alla trama, ma a quel punto si sono generate delle incoerenze (chi ha detto “Giratempo”?) che il lettore lascia perdere perché ormai è stato catturato da trama e personaggi. Quello che è importante è che elementi fantastici ed elementi “noti” siano il più COERENTI possibile tra loro. Se dico che per attivare l’incantesimo X devo avere una bacchetta in mano e pronunciare la parola o la frase Y, in un sistema “Hard Magic” questo deve accadere sempre. Che poi nella descrizione della scena avvenga proprio così, venga solo accennato o mostrato in altri modi non importa, ma la regola che è stata fissata deve essere rispettata se si vuole che il lettore possa crederci. Per esempio: quante volte si vede, nei western low-budget, un personaggio che viene morso da un crotalo e muore in pochi istanti? In realtà possono volerci ore, ma potrebbe anche non morire affatto e riportare gravi danni (come la perdita di un arto). Solo che si preferisce “tagliar corto” che la scena deve durare tot minuti. Se il setup del mondo narrativo è fatto bene e quindi si trasmette allo spettatore l’informazione che “qua i crotali sono peggio dei mamba australiani e uccidono in 10 secondi” non c’è problema, viceversa… lascio a te la conclusione.

Ecco un esempio inaspettato di coerenza narrativa

Un worldbuilding fatto molto bene è quello di Fantozzi: nel primo film il ragioniere più sfortunato del mondo si lancia dall’Xesimo piano per uscire in fretta dall’ufficio, ma i colleghi gli tolgono il telone di salvataggio. Lui atterra e finisce con le gambe nell’asfalto e dice “ahia” alla Fantozzi invece di morire spetasciato sul selciato. E sarà così per tutti i personaggi, Fantozzi per primo, perché la regola è che in quel mondo narrativo non si muore per quel motivo, ma si soffre come soffriva Willy Coyote quando mancava la sua nemesi Beep Beep. Se ci fosse scappato il morto, cioè se uno dei personaggi fosse morto per un motivo simile il patto narrativo sarebbe stato infranto e il film non sarebbe piaciuto.

L’ho già detto altre volte: le regole fissate vanno rispettate. Nel fantasy di regole “extra” ce ne devono essere moltissime (o il mondo non funziona) e quando il lettore arriva al dunque e si pone la domanda “perché Fantozzi non muore?” la risposta è “è la regola, nessuno muore, neanche se una nave al varo gli passa sopra”. La grandissima coerenza nel rispettare tutte le regole che lo sceneggiatore si è dato, la bravura nel regista nel saperle cogliere e riportarle su schermo, ha dato vita a un film che se pure non mi è mai piaciuto non posso dire che è fatto male.  Insomma si riesce a dire “non è vero, ma ci credo” che poi è esattamente lo stesso risultato che ci si aspetta da un romanzo fantasy.

Datti delle regole e rispettale, tutte.

Cominci ora a capire quale enorme cetriolo ti sei andato a capare dal mazzo (per non essere scurrili)? Se proprio non vuoi abbandonare il Fantasy inizia con qualcosa di semplice, definisci le tue regole e prepara il “mondo”. Se parti in quarta adducendo come unica spiegazione “tanto è fantasy”… ti rimando all’articolo della mia amica Erika Sanciu di Redazione Coffa che tratta il medesimo argomento, ma da un altro punto di vista.
Se speri comunque di cavartela sappi che produrrai un testo al quale crederai solo tu e, per tornare all’esempio di inizio articolo: sarà come eseguire un brano musicale allo specchio e dire all’immagine riflessa “Wow! Esecuzione perfetta!”.

Ribadisco: vuoi scrivere fantasy? Preparati a sudare: l’i-spirazione è solo l’1% del lavoro, il resto è tra-spirazione.

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