Test dello scrittore – Personaggi Lv1

Un personaggio è un personaggio, non uno stereotipo. Un Nano è un personaggio e frutto di una cultura non umana, per cui avrà tratti fisici e caratteriali differenti. Stesso discorso per qualsiasi altra razza\etnia\stirpe\specie differente. Cedere agli stereotipi è, per me, un errore e anche grave. Il che non mi mette al riparo dal commetterlo, ma almeno cerco di evitarlo con tutte le mie forze.

Traumatizzare un personaggio per sottolineare la sua indole aggressiva, per me almeno, non funziona. Il risultato mi esce sempre è piatto, devo aggiungere altro per renderlo interessante maschio o femmina che sia. Qualcosa che crei in lui o lei un conflitto che spinga ad agire... e a portare avanti la storia ^_^

Quella della donna che combatte con gli attrezzi da cucina è uno stereotipo di genere pericoloso e offensivo. Al pari di quei testi scolastici che chiedono di associare certi verbi a una persona. Al gruppo di verbi "cucina, stira, rammenda e fa il bucato" una bimba fece arrabbiare la maestra perché scrisse sul compito "la cameriera" e invece per la maestra avrebbe dovuto scrivere "la mamma". Ora ti alzi sulla sedia e urli "machitemmuort!" come me, ma ho perso il conto delle volte in cui sono caduto in trappole come questa: gli stereotipi di genere sono tanti e stupidi. Anche gli uomini possono fare il bucato senza tingere di rosa le mutande, anche le donne possono riparare la gomma di una bicicletta in modo perfetto. E se una donna combatte con una padella di ghisa, be'... attenzione perché è davvero pericolosa.

Per me è no. Un personaggio è un personaggio e scrivendo "Fantasy" descrivo altre società con altri usi: non avrebbe senso parlare di "Ideali femminili" a meno che non voglia esaminare gli ideali femminili della nostra società proiettandoli in un contesto differente, ma anche allora... non riuscirei a creare un personaggio e renderlo credibile appiccicandogli addosso solo gli stereotipi del suo genere. I miei personaggi sono persone ed esistono. Il fatto che esistano solo mente di chi scrive non può, secondo me, essere un pretesto per renderli stereotipati.

Le fanciulle indifese buone per essere salvate e trom... pardon, amate con passione subito dopo il salvataggio fanno parte di una letteratura che è passata di moda da un secolo e che ogni tanto ammicca ancora solo dalle copertine di certi brutti libri. Non lo dico io, ma quel che si vede sfogliando le innumerevoli opere che amazon offre. Non mi piace l'eroina che attende il suo salvatore, né il viceversa. Preferisco i giochi di squadra: lui salva lei, poi lei salva lui e la risoluzione della storia avviene grazie alla squadra che si è cementata nella fase di "prove, alleati, nemici". Per me, almeno, è il modo che preferisco.

Io odio gli stereotipi di genere, almeno per i personaggi protagonisti. Per le "comparse" ci possono anche stare, semplificano la vita e mi aiutano a mostrare la differenza tra il personaggio e la massa. E anzi: questa distinzione mi offre un bello spunto per mostrare una situazione tipo "lei avrebbe voluto essere frivola e civettuola come le ragazze che vedeva passare, ma poi si ritrovava sempre a dover sfoderare i coltelli o la balestra per proteggere se stessa, il suo amore, i suoi amici". Per cui Non metto mai gente che dedica tutto il tempo della narrazione a curare il proprio aspetto e basta. I miei personaggi fanno sempre (anche) molto altro.

Non sono io a dirlo, ma i settordicimila manuali di scrittura che ho letto: tutte le sottotrame legate alla trama principale devono avere la loro chiusura. Un personaggio che è al corrente di una informazione e pur avendo la possibilità di informare che ha evidente bisogno di quell'informazione sceglie di non farlo "perché sì" è per me un errore grave. Ci deve essere un motivo e deve essere chiaro al lettore, o comunque il lettore deve avere una possibilità di capire. Per me è un "must".

Quando creo un personaggio faccio sempre in modo che ai vantaggi si oppongano degli svantaggi di modo che ci sia equilibrio. Un guerriero, uno che è chiamato a combattere e uccidere, che però comprende lentamente e tende a essere misericordioso è uno che i guai se li va a cercare: un nemico sconfitto e non ucciso potrebbe diventare la sua nemesi e covare una vendetta... e insomma per me è una miniera di spunti narrativi.

Quella dell'orfanello che diventa re è un luogo comune letterario cui Mark Twain col suo "Il principe e il povero" ha dato una bella accelerata. Non si impara a regnare in un minuto, nemmeno in un'ora o in un mese. Un re che non sa governare dura pochissimo e spesso finisce male, vedi l'infortunio occorso a Luigi XVI. E lui sapeva di essere re eh? Un personaggio che tutti sottovalutano e che poi si rivela essere l'imperatorediodelluniversomondoconosciuto fa il paio col deus-ex e ci riporta alle storie brutte. Evito sempre discontinuità del genere e lascio presagire, così da creare aspettative succulente che poi provvedo a soddisfare per la gioia di tutti. Magari i personaggi vengono sbatacchiati un po', ma loro possono soffrire quanto mi pare.

Dietro la storia del brutto anatroccolo c'è tanto che spesso viene ignorato. La povera bestiola deve affrontare, nelle poche pagine, un corso accelerato del viaggio dell'eroe situazione di semi-morte inclusa. Non diventa quello che è in virtù del suo DNA, ma delle durissime prove cui è sottoposto e alle quali sopravvive riuscendo a cogliere l'opportunità di diventare migliore. Per cui, siccome non sono bravo come Perrault o Andersen, i miei protagonisti sono persone perfettamente integrate nel  mondo in cui vivono e che hanno già buone possibilità di sopravvivere senza il mio aiuto. In effetti io tento sempre di uccidere tutti... hai ancora voglia di seguire questo test?