Storytelling – Lv2

Ecco: per me è deve essere così. Le descrizioni non riguardano solo la scenografia: tavoli, rocce, tende, alberi, dirupi, satelliti geostazionari... ecc... ma anche le azioni stesse.
La descrizione deve essere funzionale all'azione narrata o mi rompe pesantemente i cabbasisi.
Ecco due esempi, uno valido (per me) e uno no.
Il clangore delle asce riecheggiava tra le pareti della vasta sala.

La sala del trono era divenuta il teatro dello scontro, i duellanti si scambiavano colpi d'ascia così forti che l'eco dei loro colpi rimbalzava più volte tra le pareti di granito Melniboneano.

Ecco, per me è buona la prima. Della seconda: 1) se c'è uno scontro il lettore sa già dove esso avviene, vuoi perché il protagonista ha intenzione di andarci, vuoi perché la scena s'è aperta sul luogo dello scontro. 2) Che diventa il luogo dello scontro è ovvio perché i personaggi se le danno di santa ragione. 3) fotte-nasega (termine tecnico mutuato dal giapponese, credo) di quante volte il suono delle asciate rimbalza sulle pareti e 4) ma che vuoi che m'importi se hai citato Moorcook nel raccontarmi di che tipo di granito è... magari è un'idea carina, ma non mentre c'è dell'azione da raccontare!

Ecco. Queste sono le mie opinioni in merito, magari tu ne hai altre eh? Ma del resto lo scopo di questi test è di confrontare le rispettive idee. Il punteggio indica solo quanto la pensiamo allo stesso modo ^_^

Ecco, proprio la capacità di empatia di un personaggio è la sua "carta vincente". Un personaggio monolitico, interamente bianco o nero, può essere interessante, ma dopo un po' da la nausea.
Prendiamo i promessi sposi che dovremmo aver letto tutti o quasi. Renzo non è semplicemente ingenuo e istintivo: ognuno di noi può aver agito come lui qualche volta. Su Lucia non mi pronuncio, ma a me ha un po' rotto i cabbasisi. Però la Agnese, Perpetua... quante volte avete incontrato "comari" di quel calibro? Persino il villain: Don Rodrigo, è sì malvagio, ma ha pulsioni e desideri assolutamente terreni e tipici dell'essere umano. Anche lui è vulnerabile e ha una sua fragilità intrinseca. Morirà e anche male proprio a causa di essa. La combinazione di punti di forza e debolezze è ciò che rende un personaggio credibile E offre a te che scrivi la possibilità di conoscere a fondo i suoi conflitti interiori e, ma ormai dovresti saperlo, se c'è conflitto c'è storia o, come direbbe Manzoni, "sugo".

Il Conflitto è l'ingrediente base. Una "storia" in cui il protagonista svolge azioni normali che finiscono più o meno bene, non desta particolare interesse. Mario che scende dal panettiere e compra due rosette e un filone di pane non è interessante. Mario che scende per comprare il pane, incontra una donna che trova stupenda e si lancia nell'impresa di conquistarla e costruire con lei una storia d'amore favolosa... ecco, è già più interessante, ma ancora non basta. Mario che ha sempre avuto paura delle donne e del sesso, scende per comprare il pane e incontra LA donna della sua vita, affronta le sue paure, supera il conflitto interiore e riesce... ecco, può diventare molto interessante.
Come vedrai più avanti i conflitti sono tantissimi e ci si può giocare che è una bellezza.

Narratore e Point Of View sono due cose diverse. Qui si parla del narratore, ovvero di quel personaggio che dovrebbe essere sempre diverso dall'autore, che sta sulla quarta parete, vale a dire tra i personaggi e il lettore, e che racconta cosa avviene. Può essere uno dei personaggi, può starsene seduto sulla spalla di uno dei personaggi, saltare da un personaggio all'altro... o starsene, novello demiurgo, a fluttuare sopra la scena e a raccontarci tutto quel che accade dentro e attorno a tutti i personaggi.
Un personaggio del genere cambia? Sì. Si può cambiare narratore, si può perfino cambiare il suo punto di vista e farlo passare da III a prima persona, o alla elusiva e, per ora, rara II persona. Può scalare marcia e raccontare al presente, al passato... e qualche volta persino al futuro.
La cosa imprescindibile è che: DEVI SAPERLO FARE o quel che succede è che il tuo lettore scaglierà il libro fuori della finestra.

Il narratore onniscente sa tutto. Sempre. Ha accesso ai pensieri di ogni personaggio, ha accesso a tutte le loro azioni e ai loro desideri... sa tutto. Quale parte di Onnisciente non ti è chiara? (Cit: Q di Star Trek). La difficoltà del gestire questo tipo di narrazione sta nel saper dosare le informazioni per evitare spiegoni, infodump e altri tipici errori che trasformano il narratore onniscente in una iattura capace di demolire qualsiasi emozione diversa dalla NOIA, nel lettore.

Nella narrazione in I persona personaggio e narratore coincidono e dunque vi sono molti vincoli alle informazioni che il narratore può avere.

Se col narratore in III la telecamera è piazzata vicino al personaggio su cui è centrata la vicenda, mentre in I abbiamo una GoPro fissata sulla (nella) testa del personaggio, con la II persona abbiamo il narratore che imbraccia la telecamera, spesso è uno dei personaggi, e inquadra il protagonista in modo che il lettore si confonda e creda di essere nei panni del personaggio. In altri termini il narratario (cioè il destinatario della narrazione) non è più il lettore, ma uno dei personaggi.

Il narratore, in questo caso, se ne sta appollaiato vicino al personaggio su cui è incentrata la narrazione, ha accesso a tutti i suoi pensieri e le emozioni, e percepisce la realtà così come la percepisce il personaggio. Non può sapere cosa pensa un altro personaggio, o cosa prova. Può al massimo osservare alcune delle reazioni degli altri personaggi e mostrarle. Ci penserà poi il lettore a trasformare gesti e parole in emozioni, aumentando il coinvolgimento.

Un timelock è un elemento narrativo che introduce una scadenza di qualche tipo. Allo scadere di essa all'eroe accade qualcosa di spiacevole. Una carrozza diventa una zucca, un giro del mondo viene perso, una fanciulla prende l'aereo e il suo spasimante non la vedrà mai più se non dieci anni più tardi sposata (a un altro) e con tre pupini sulle ginocchia... eccetera... eccetera.

Ogni personaggio deve avere più modi di dare voce ai propri pensieri. Quando siamo in uffici tra i colleghi, a una riunione di lavoro, usiamo un certo tono e certi modi. Se siamo con gli stessi colleghi a mensa in pausa pranzo, i modi  e i toni cambiano così come gli argomenti di conversazione. Se siamo in famiglia e stiamo parlando ai nostri figli, o ai nostri genitori, il tono e le parole scelte cambiano ancora.
Il "set" di espressioni cui attinge un personaggio è proprio questo.
Più è ampio (e naturalmente se il suo background glielo consente) e più dovrà essere accorta la selezione delle parole da usare.
Un bambino proveniente da un ceto medio o basso, probabilmente darà del "tu" a tutti. Un ragazzo di una famiglia "bene" del XIX secolo darà del Lei persino al proprio padre e riserverà il "tu" a precise situazioni... insomma è uno strumento potente, soprattutto per la gestione dei dialoghi, e molto difficile da usare. Però riserva sempre grandissime soddisfazioni.