Tharamys

Noyrac de Cabergér

Noyrac è una donna, il nome si pronuncia alla francese “Nuarà” e vuol dire “Neretta” o “Nerella”, comunque “Scura di pelle”. Figlia di un pescatore che viveva a Marbèl sur Senrobon e di una piratessa di Pelagòs, Noyrac deve il suo cognome alle secche di Cabergèr, un isolotto a nord di Marbèl sur Senrobon dove suo padre e sua madre si sono incontrati la prima volta e a cui è legata la famiglia di Noirac.

Il personaggio ha preso vita mentre facevo un esperimento: ho preso una vecchia barzelletta intitolata “La cammella di Abdul” e l’ho trasformata in un racconto cui ho cambiato un po’ tutto. L’ambientazione s’è spostata dal deserto tunsino all’isola di Vasconne, dove sto tirando giù anche la storia di Bertrand de Malichar ispirata alla storia (vera, stavolta) di Joan Cavalier che guidò i Camisards contro il re di Francia, mentre qui Bertrand guiderà una rivolta che si concluderà con l’esodo e l’arrivo in una nuova terra.

La storiella, oltre a fare da esercizio per testare quanto appreso sulla creazione di dialoghi efficaci, mi serve per provare l’ambientazione della Vasconne, circa 2600 anni prima delle storie di Conrad. L’uso delle arti magiche è concesso solamente ai rappresentanti del Clero che possono essere di natura divina, oppure no e allora si tratta di coscritti sopravvissuti alle Torri della Stregoneria volute dal “Rei Chaman” (piccolo riferimento al Witch King di Tolkien) e che, unito all’oscurantismo culturale in cui ha fatto ripiombare il paese, ha scatenato la rivolta dei Vasconards. Qui siamo agli inizi della guerra che il popolo dell’Alba scatenerà contro Lleendir: per ora si limitano a saccheggiare le isole a nord con azioni di pirateria e guerra “di corsa” e la risposta del sub continente è quella di rafforzare la vigilanza lungo le coste con la costruzione di fortezze poste a intervalli regolari.

Capaci di comunicare tra loro attraverso lanterne e specchi, le fortezze possono essere situate anche a grande distanza dai centri abitati, come nel caso di Fort Camarc, situato a mezz’ora a dorso d’asino dal paesino di Marbel sur Senrobon. Se qualcuno ci vede una somiglianza con la caserma di Macomer in Sardegna la risposta è sì: la caserma in mezzo al nulla. In pratica una specie di luogo mitico, isolato dal resto del mondo da una natura semi-selvaggia “là dove osano le pecore” e via battutacce di questa risma.

Infine ho scelto di prendere in prestito personaggi dalla cultura: letteratura, cinema, teatro, musica, eccetera. Claude Vandàm è il nerboruto “Facente funzioni” di comandante, tenente di marina ecc… e il cui nome fa assonanza col noto attore Jean-Claude Vandamme. Claude Vandà ha preso il posto del defunto Jean-Armand de Treville. Questo nome è appartenuto al capitano dei Moschettieri del Re nei romanzi di Dumàs. La protagonista non è da meno: Noirac o Noyrac de Caberger è l’anagramma di Cyrano de Bergerac, grazie m’sieu Rostand. Pierre Balayant invece nasce da una battutina usata ai tempi del liceo per rimorchiare le studentesse francesi in visita. Si basava in modo abbastanza eloquente sul significato del verbo Balayer e che in italiano si deve tradurre come “pulire il pavimento tramite la scopa”, in francese “balai” (pron: balé) e ben diverso dal verbo usato per il significato cui si alludeva “baiser” e che non è “baciare” no, proprio no.
Per gli altri personaggi abbiamo padre Oliveiro Valiente e il giovanissimo Capitano Pedro Calvero Laurito Enrique Monasterio De La Vega y Sanchez. Il primo è un prete della “Compagnia di Eplor” e il secondo un “capitano di vent’anni” e preda degli ormoni come pochi altri, ma comicamente inetto. La strana coppia è stata spedita laggiù perché il padre del ragazzo, don Raimondo Conseilo Monastario De La vega y eccetera eccetera, spera che possa smettere di dare scandalo e imparare a comportarsi da uomo. La presenza del prete, dotato di ampi poteri anche magici, dovrebbe accelerare il processo.
Don Oliveiro è sessuofobo, per cui non appena arriverà alla fortezza inizierà una violenta opera di repressione tramutando Chastèl Camarc in Clastrel Camarc, dall’occitano Clastra = Convento di Clausura, arrivando a vietare persino l’accesso alle stalle agli uomini della guarnigione, dove risiede Neneta, l’asinella protagonista della storia, onde evitare che possano dare sfogo alle loro insane passioni molestando l’animale. Questo nella visione pesantemente distorta del prete. E qui si va a giocare col verbo “montare” cui il prete e la protagonista danno una interpretazione molto differente.

La realtà è che se traduciamo Oliveiro Valiente e Pedro Calvero, in inglese, otteniamo per il secondo il significato di “Stone” che in inglese arcaico si trova scritto “Stan”, mentre per il cognome “Calveiro” la migliore traduzione è “Distesa pietrosa” e quindi in inglese arcaico che ho preso a modello è “Leah”, ma “Stan Leah” con quel Laurito accanto, vale a dire il “Laurum” latino diventa Stanley Laurel e allora Oliveiro Valiente non può che essere Oliver Hardy.
E non finisce qui. Quel “De la Vega” era il cognome di “Zorro” mescolato a quello del suo arcinemico il colonnello Enrique Monasterio Sanchez e non pago di aver infilato abbastanza roba ecco che don Oliveiro, mentre presenta Pedro, non riporta tutti i cognomi e tralascia l’ultimo. Così che Pedro si sente in dovere di correggerlo aggiungendo “y Sanchez”. Lo schema della battuta ricalca la presentazione di Antonio e Bastiano Coimbra de la Coronilla …y Azevedo, e che erano i personaggi interpretati da Bud Spencer e Terence Hill in “Non c’è due senza quattro”.
Uno spasso.

Poi siccome non sono mai contento… mentre la storia prendeva forma dovevo dare a Noyrac una vena poetica, più o meno abbozzata. Non potevo dilungarmi troppo perché desideravo restare entro le 21600 battute per iscrivere il racconto al torneo RILL. Così ho inserito alcune citazioni nel suo punto di vista. Come i versi di “La vita è per volare” quando i gabbiani che dimorano sotto la rupe di Chastel Carmarc si fanno sentire, per esempio. Ho inserito “l’accensione dei chakra” quando sta per mettersi a cantare e a improvvisare qualche rima, come il suo illustre predecessore, ma senza la sua letale vena malinconica. Cirano non cambia mai e per questo Rostand lo lascia morire. Noyrac invece è molto più vitale e la posia le darà la forza di combattere contro i soprusi del prete fino a convincerlo ad andarsene e pure in fretta. Come? Oh, calma, la forza della storia è tutta incentrata nel modo in cui la ragazza sfrutterà tutti gli elementi presenti a proprio vantaggio, quindi: Mica posso spoilerare tutto qua!

Infine, gasatissimo per il modo in cui il racconto stava prendendo forma, ho inserito la figura dell’oste Serge Berard, l’osteria “Au Dauphin” che in un’ambientazione in lingua occitana con deriva linguistica francesizzante è perfetta. E visto che ho citato uno dei miei gruppi di musica popolare preferiti ho inserito una loro canzone adattata all’ambientazione: spero che mi diano il permesso.

Inizialmente il racconto mi è uscito lungo oltre 70k, poi tagliato a meno di 40 e infine s’è assestato intorno alle 19890 battute. Forte eh? Qualcuno ha paragonato il taglio al bombardamento di Hiroshima. Ho segato tutta la rava e la fava delle storie dei personaggi, di cosa facevano fuori dal forte e presentato come un dato di fatto i vari rapporti tra essi. Per cui Pierre Balayant è l’addetto alle stalle e ama tutti gli animali presenti in esse, li coccola, li spazzola… insomma il mostrare la sua affezione basta a dire quanto ci tiene. Noirac e Claude sono amanti, il prete è narcisista (oltre che sessuofobo) e pretende che solo lui possa godere della “grazia di Eplor” vale a dire l’intenso piacere che procura il lancio di incantesimi. Come ho spiegato più volte la magia nella mia ambientazione funziona così. Un incantesimo ben riuscito, col fatto che non ha ucciso il suo utilizzatore, provoca il rilascio di endorfine e tanto più l’incantesimo è potente e più la sensazione di benessere diventa esagerata. Un mago sa che deve mantenere il controllo anche in questa condizione o perderà il controllo della magia e morirà. Un prete se ne può fregare, anzi, a volte deve proprio lasciarsi andare perché l’incantesimo è stato “caricato” dal dio nella sua aura magica già adattato alla condizione di perdita di controllo che la magia induce. Insomma è una pacchia per l’utente di magia che si gode proprio tutti i benefici, ma non ha alcun controllo sulla bontà di quello che il dio gli mette nell’aura. Si basa tutto sulla fiducia e sulla fede. Finché questa relazione è salda la divinità e il suo sacerdote lavorano in tandem, così che il dio vede le proprie azioni portate avanti sul piano di esistenza degli uomini senza che il tremendo potere di cui è dotato distrugga l’intero pianeta e buona parte di quella regione di spazio. Dal canto suo il sacerdote oltre a godere come un riccio acquista potere agli occhi degli altri uomini e ha gioco facile nel portare altri fedeli al proprio credo.
Bon, tutta ‘sta sega mentale è riassunta, nel racconto, in uno scambio di battute non più lungo di una 30ina di caratteri.
E nel mentre ho citato “Le torri della Stregoneria” prese pari pari dai romanzi di Weis e Hickman dove un certo Raistlin Majere apprese i rudimenti della magia e quasi ci lasciò le penne.

Ho poi inserito una serie di variazioni “stagionali” che impediscono ai corsari Dei-Talant di veleggiare fino alla “lontana” Lleendir durante l’inverno. Ho inserito poi le grosse differenze linguistiche presenti tra Vasconne e Lleendir. Prendendo come “lingua base l’occitano” ho messo una deriva francesizzante per Vasconne e una spagnoleggiante (castellana) per Lleendir e che, 2600 anni più tardi, porterà alla creazione del Maliciano e dello Lleenico, due pseudo lingue basate rispettivamente sul francese e sullo spagnolo castellano, mentre l’occitano sarà una sorta di “lingua arcaica” in cui sono narrate antiche ballate, poesie e leggende varie.

Il worldbuilding mi sta riuscendo bene… ora vediamo se il racconto, una volta lavorato di cesello, vi piacerà. Manca poco. La foto che vedete in basso è Chastel Camarc, nato dalla fusione di Fort-la-latte in Bretagna Francese e Castel Duino, Friuli.

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