Tharamys

Io Scrittore – Una storia “Brutta”

Una storiaccia, di quelle nere, brutte e cattive. Cattivissime. Però… com’è che diceva il Guccini? Se son d’umore nero allora scrivo, frugando dentro le nostre miserie. E questa storia è proprio così: l’autrice, perché sono sicuro che si tratti di una donna, ha mostrato una capacità di analisi profonda, lucida e dettagliata. Sensibile e pure spietata al punto da mettere a nudo desideri e speranze non dico inconfessabili, ormai sui social si legge di tutto, ma per lo meno poco condivisibili.

Storia: 9, Personaggi: 8, Originalità: 8, Grammatica: 10.
Genere: ng
Indizio: Scappo dalla città. La vecchia, il garzone e la caverna.

Il Giudizio

Mannaggialapupazza, che storia brutta e pure raccontata così bene. Per il problema di formattazione, dovesse riaccadere, basta fare copia e incolla del testo su notepad, così da tenere il testo e togliere tutta il resto. Poi si può rifare copia e incolla su word, ma meditare pure di adottare un’applicazione più affidabile come google documents, Open Office o Libre Office.

La trama

Casalinga benestante, a 50 anni suonati, lascia marito e figli per vivere in una caverna. Provoca la morte del suo amante e finisce i suoi giorni in un istituto per malati mentali. Ecco, messa così la storia non avrebbe avuto granché appeal. Attraverso il suo stile, l’uso dell’italiano puntuale e curato, il ritmo scandito dall’alternanza dei ricordi e da un buon uso del flashback la storia diventa interessante e capace di tenermi incollato alle pagine anche se a me le storie di “Narrativa Generale” mi causano repulsione. Quest’anno mi son capitati molti di Narrativa Generale, finora ne ho risparmiati solo due e uno di questi è il suo. Altri sei mi hanno precipitato nella più cupa disperazione. Magari si può migliorare, soprattutto nel mostrare cosa spinge i personaggi ad agire. Nel complesso rimane una delle migliori storie che ho letto.

I personaggi

Qualche sbavatura c’è anche qui, dovuta soprattutto al modo in cui essi sono presentati. Ottimo il filtro del protagonista: ogni personaggio è presentato sempre attraverso gli occhi del narratore, non si verificano mai quei fastidiosi salti di “pov” tipici del narratore principiante e la storia arriva anche attraverso questi dettagli apparentemente insignificanti. Ogni personaggio non solo ha la sua unicità: chi parla, chi usa i gesti, chi solo il dialetto (caratterizzazione impeccabile), ma nel modo in cui la protagonista filtra i dettagli ci arrivano chiari altri elementi della sua personalità e di quella del personaggio descritto. Non posso dire di più adesso, se no rischio di spoilerare. Le pecche, se così si può dire, sono nel modo di raccontare tutto incentrato sulla sola protagonista e che un po’ tolgono forza a questo modo di presentare i personaggi. Sono sicuro che un bravo editor saprà suggerire come ovviare al problema.

L’originalità

Come già detto non è una storia molto originale. Di persone stanche e deluse della propria vita che prendono e scappano via ce ne sono tanto nella vita reale che nella letteratura. È un po’ come far passare come “piatto originale” una cacio e pepe. Non è originale manco per niente, ma se la fai bene nessuno si lamenterà. E infatti non mi sono per nulla lamentato. Anzi: l’uso dei cliché come la signora annoiata e delusa che scappa, il giovane che non ha mai conosciuto una donna, la psicologa che vuole portare una paziente non alla guarigione, ma dove lei decide che starà bene… e poi l’uso del flashback per introdurre la narrazione che porterà alla condizione presente (quella descritta nell’incipit) ovvero poco prima del climax… tutto ben fatto e ben raccontato. Per cui anche una storia non originale e raccontata sfruttando dei cliché si merita tranquillamente un 8 e tanti complimenti!

Grammatica.

Non senza un certo orgoglio sono felice di aver messo anche qui 10. Come per la storia dei “Libri che parlano” anche qui abbiamo una persona che l’italiano e le sue regole sembra viverle sulla propria pelle prima ancora che sulla penna. A parte un problema legato all’obsolescenza del formato RTF rispetto al formato Open Document, di cui ho ritenuto l’autrice assolutamente incolpevole, ogni elemento era al posto giusto. Da inezie come l’uso delle caporali « » al posto del trattino sbagliato – per i dialoghi, all’uso della punteggiatura, fino alla costruzione di periodi sintatticamente solidi e funzionali alla narrazione. Anche leggendo al contrario non ho trovato refusi o errori di sorta. Anzi: la formattazione era stata sistemata in modo che desse risalto al contenuto dei vari capitoli. Ho avuto molto da imparare da questo testo e non ringrazierò mai abbastanza. Ogni elemento non era solo sintatticamente e ortograficamente corretto. Era pensato, o così ho avuto l’impressione che fosse.

In Conclusione

E allora perché è una storia brutta? Perché si parla, tra le altre cose, delle miserie dell’animo umano e del modo in cui quest’ultimo, come una fenice, è capace di risorgere. La protagonista conduce una vita misera, diventa miserabile e sta lì lì per lasciarci le penne, pensa di aver capito e invece non capisce una bega e provoca ancora più danni e questi vengono mostrati, non raccontati. L’autrice lascia spazion al lettore che può a formulare il giudizio che inchioderà la protagonista alle proprie responsabilità. L’immedesimazione nel personaggio, in questo modo, è massima.

 Spero che l’autrice si faccia viva e che mi dica “Sì, sono riuscita a pubblicarlo!” e allora non mancherà una mia recensione puntuale e, stavolta, senza più nascondere nulla di titolo, autore, personaggi… insomma complimenti vivissimi per tutto l’ottimo lavoro svolto.

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