Tharamys

Io Scrittore – Ah quanto sa di sale la quaglia altrui!

La cucina dell’antica Roma era ricca di schifezz… pardon, di pietanze dal gusto molto particolare frutto del connubio di decine, centinaia, di culture differenti che erano state messe insieme a forza dalla cultura Romana grazie al sistema della schiavitù. Alcune erano molto semplici, altre elaboratissime come fagiani ripieni di quaglie a loro volta ripiene delle loro uova. Chi poteva permettersi queste pietanze, inoltre, poteva anche permettersi di mettere al lavoro uno schiavo “masticatore” che gli triturasse il cibo, nel caso sfortunato di non avere più neanche un dente.

La storia narrata in questo romanzo è proprio quella di uno di questi schiavi: un ex principe seleucide. Con “praenomen” tipicamente latino ancorché piazzato dopo il “nomen” che invece è il medesimo del fondatore della dinastia… amico, se dovevi inventarti il nome dovevi farlo bene. I seleucidi sono una dinastia ellenistica, quindi avresti potuto sfruttare il greco e farlo diventare Seleuco εὐδαίμων (Eudaimon, se ho traslato bene). No, hai preferito appioppargli un praenomen (soprannome) latino, va be’, son gusti. C’è da dire un paio di cosette riguardo i nobili fatti prigionieri: se giovani e prestanti e sapevano combattere, come il protagonista, finiva a fare il gladiatore senza se e senza ma. In tutta la romanitas ce ne era sempre tanto bisogno, anche se il Colosseo non era ancora stato costruito i ludi gladiatorii erano ben conosciuti, apprezzati e richiesti. Questi personaggi duravano anche meno serano strettamente connessi coi nemici vinti: capi e discendenti venivano condotti in trionfo e poi uccisi nel “carcere mamertino” o venivano assassinati da sicari come nel caso dell’ultimo re seleucide. Non sono esperto di storia, ma qualcosina la so e per il resto wikipedia offre parecchio materiale su cui lavorare e tutto con fonti ben documentate. Però va be’, lo considero un fantasy storico senza magia e alla stregua dei cartoni di Hanna & Barbera come Roman Holydays tradotto in italiano come «Sembrano Proprio Quasi Romani».

Ecco il termine giusto: “quasi”. A Roma si direbbe « ‘n romanzo storico cor quasi» per indicare che si tratta di un romanzo che nulla ha a che vedere con la storia e nessuna pretesa di esserlo.

Chiarito questo importante dettaglio tuffiamoci in questo simpatico scritto d’epoca diversamente romana.

Trama: 5, Personaggi: 6, Originalità: 5, Grammatica: 7
Genere: storico (cor quasi)
Indizio: masticare cibo altrui

Giudizio

Mannaggialamorte. Chi ha curato la documentazione di questo “storico”? La quantità di imprecisioni è notevole. Il sesterzio è, probabilmente, la moneta più famosa ma è un sottomultiplo del denario. Durante le aste, se il prezzo cominciava a crescere o se lo schiavo in vendita era particolarmente prestante/appetibile, si partiva direttamente con i denari che erano le monete più diffuse. È come se, di fronte a un conto da 200 euro mi mettessi a pagare con i centesimi: il cameriere se ne avrebbe un po’ a male.
Lo stile è acerbo, vale a dire che necessita di qualche aggiustatina come l’eliminazione delle d eufoniche e un uso dello show-don’t-tell più marcato: troppo spesso lasci che il narratore racconti stati d’animo e situazioni invece di mostrarle attraverso il punto di vista scelto (narrazione al passato, III persona focalizzata).

Tell don’t show

«Tre anni erano già trascorsi da quando <il protagonista> era diventato lo schiavo Masticatore di <il suo padrone> e un sentimento di ribellione interna si agitava sempre di più dentro di lui.»
Chi cazz’è che dice questa cosa? Il Narratore Onniscente e Rompiscatole, ecco chi. Di sicuro non è Sefaste. Con questa frase hai ammazzato tutta la scena e il giusto senso di ribellione del protagonista. Mostra, invece di raccontare, quanto tempo è passato dalla morte <della sua amata e di sua figlia> e l’incazzatura (se c’è) di Sefaste per il fattaccio, aggravato dallo stress di continuare a masticare cibo altrui. Inoltre: “il senso di ribellione interna si agitava sempre di più dentro di lui”.
Mi raccomando, ribadisci bene che una cosa che nasce dentro l’animo umano sta dentro e non fuori.
E considera che il testo è strapieno di questi che per me sono errori.

Trama, Grammatica e originalità

La storia… mah, non è il mio genere preferito, ma quella dello schiavo che fa fortuna e riconquista una forma di libertà è trita e ritrita. Nessuna originalità dal mio punto di vista.
L’aspetto positivo è che è scritto bene: hai una buona padronanza della lingua, ma ti manca la conoscenza dei meccanismi narrativi… o meglio, quelli probabilmente li conosci, ma non hai proprio dimestichezza (o non ci sarebbero tutti gli infodump e le intrusioni del narratore, per esempio) nel loro utilizzo.

Conclusioni

Continua a far pratica e, la prossima volta, ingaggia un bravo editor che possa supportarti nell’opera di revisione. Un editor professionista, a trovarne uno libero, costa da 3 a 5 euro a cartella e ti fornirà la consulenza necessaria a trasformare anche una storia trita e ritrita in un buon libro. Senza contare che il tuo modo di scrivere migliorerà in modi che adesso neanche sogni.

 

Ok, non sono stato molto tenero nei confronti di questo autore, né mi trovavo nella disposizione d’animo per essere indulgente. Le ambientazioni a là queue de chien (no, non è la coda: ti pare possibile che si possa tradurre come “ambientazioni a CODA di cane”?) mi stanno più simpatiche di una puntina da disegno sotto un piede, ma di poco.  A parte le eccessive approssimazioni storiche (le fonti romane di età repubblicana sono molto abbondanti, non ci voleva molto per tirare fuori qualcosa che elevasse il livello del testo) quello che mi ha fatto cascare i c… le braccia, volevo dire le braccia, sono state le continue intrusioni del narratore e gli infodump seminati con grande prodigalità per tutto il testo. Almeno ‘sta cosa l’ho imparata: al lettore non importa una bega del giudizio dello scrittore-narratore, ma importa di poter essere là dove la vicenda è narrata e assistere in presa diretta alla scena scatenando il potere della propria immaginazione. Potere guidato dalle parole del narratore (non dell’autore) e che permettano al lettore di essere là senza sforzo apparente. Se poi oltre a questo vengono trattati dei temi cari all’autore e quindi si aggiungono ulteriori livelli di lettura ecco che da semplice opera d’intrattenimento ci si ritrova con qualcosa di più e può fare solo piacere, ma anche solo “il livello base” va benissimo: il semplice intrattenimento è già un buon risultato, nonché il primo da raggiungere, secondo me.

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