Tharamys

Il Talento esiste?

Questo articolo nasce a causa di una serie di minchiate che ho letto, ascoltato, discusso e poi scosso la testa sconsolato di fronte a cotanta becera & sicumera ignoranza.

“Ci vuole talento per la scrittura, altrimenti è meglio che non scrivi proprio”.

Questa la frase incriminata, ma che ho riascoltato applicata ai campi più disparati: musica, informatica, uncinetto (sic!) e non ultimo il calcio.

Stronzate. Tutte, nessuna esclusa. Vuoi scrivere? Devi avere voglia di scrivere, altrimenti è meglio che non scrivi affatto. Volere è potere, questa funziona. Se vuoi una cosa, allora possiedi il primo, essenziale, requisito per ottenerla. Non è detto che la otterrai, ma se lotti e ti sbatti per qualcosa che non vuoi ottenere be’, allora sì, il tuo comportamento è davvero stupido, viceversa: sì può lottare e combattere per qualcosa in cui si crede e poi scoprire che, una volta ottenuta, non è quel che si immaginava. Però avviene dopo, si chiama maturazione, crescita. Da piccolo volevo incontrare Babbo Natale e poi una volta incontrato… scoprii che era un impostore, che in realtà si trattava di un’invenzione dei miei genitori per farmi rigar diritto da settembre alla Befana e poi, per inerzia, fino alla fine della scuola.
Torniamo al “talento” via, che è più divertente.

“Il Talento” cos’è? Un’abilità innata, un set di capacità ricevute in dono per non si sa quale motivo, alla nascita, anzi, al concepimento. Mozart? Aveva talento per la musica. McEnroe per il tennis (oggi dovrei forse dire Federer?), Pelè per il calcio… ecc…

Secondo gli studiosi di neuroscienze non c’è alcuna prova che queste abilità innate esistano. E sono moderatamente d’accordo, ma giusto per dare ascolto alla saggezza popolare che, nel corso dei millenni, ha sempre parlato di talento posso dire che esiste e vale +1


Che vuol dire?

Prendiamo Edson Arantes do Nascimiento in arte Pelè. Fin da ragazzino ha sempre giocato a calcio, e fin qui… è chiaro, mi pare. Però lui aveva “talento per il calcio” qualunque cosa questo voglia dire.
Ecco, no, diamogli un significato preciso. Mettiamo che esiste una cosa chiamata “scala di misura del saper giocare a calcio” espressa in livelli da 1 a 10. A livello 1 abbiamo “ragazzini che giocano in strada” e al livello 10 abbiamo “nazionale di calcio” ovvero gli 11 migliori giocatori di calcio del paese in cui vivi.
Pelè è brasiliano, uno dei paesi del mondo in cui il calcio è praticato come e più che in Italia dove invece vive il maggior numero al mondo di Commissari Tecnici  (maschi e femmine) che si aggira intorno ai 60.000.000 di individui. Battute a parte, fin da piccolo ha vissuto immerso nella “cultura el calcio”, in famiglia si parlava di calcio, con gli amici si giocava a calcio, invece di andare in bicicletta calciava un pallone e ci faceva le acrobazie… ecc… un neonato che ha avuto fin da quando era in culla un pallone con cui giocare e degli adulti da cui prendere esempio capaci di insegnargli i rudimenti del calcio ha -> sempre <- una marcia in più rispetto a uno che invece ha ricevuto i rudimenti della musica e magari ha appreso a distinguere le note in modo assoluto, un po’ come accadde per i figlii di Leopold Mozart.
Un bambino così, agli occhi degli altri bambini e degli adulti che li vedono giocare, ha talento per il calcio. Quindi nella nostra scala il piccolo Pelè giocava al livello 2 assieme a bambini di livello 1.
Giunto alle elementari i suoi compagni hanno migliorato il loro livello per salire a 2, ma Pelé ha pure migliorato e grazie al “talento” ora gioca al livello 3. Se però prima era il doppio più bravo dei suoi amici, adesso è solo 1/3 più bravo. Al liceo o comunque all’età di 14 anni eccolo approdare al livello 5, ma rispetto ai suoi amici che pure giocano allo stesso livello lui ha sempre il “talento” e quindi gioca come un 6, un giovane universitario o, in questo caso, un giocatore delle leghe minori… diciamo come uno dei nostri calciatori di serie C.
Viene notato ed entra in una squadra, allenato a dovere cresce e mentre i suoi colleghi che sudano e si sbattono per salire di abilità e scalare le classifiche (serie B, livello 7, serie A livelli 8 e 9 se ci sono sfide come Copa Libertadores o Champions League) e lui gioca sempre un livello sopra gli altri: in serie B gioca da serie A, in Serie A è ormai proiettato verso la nazionale: livello 10.
Come c’è arrivato? Col talento? No. Sicuramente gli ha dato una mano l’aver giocato sempre a calcio fin dalla più tenera età, ma la differenza l’han fatta le ore di allenamento, di pratica, di voglia di migliorare e diventare sempre più abile in tutte le abilità richieste dal gioco che include anche il saper conoscere le caratteristiche dei propri compagni di squadra e capire come giocare in campo al meglio per poterle sfruttare. Solo che… ecco… Pelé alla nazionale di calcio ci arriva e ci arriva dopo aver sudato e lavorato come gli altri 10 colleghi, una preparazione di livello 10. Solo che Pelè ha ancora il Talento e che in questa storiella vale ancora +1
Perciò se pensi a questo, se ti piace il calcio, devi riconoscere che ci sono e ci son stati giocatori che, in una scala da 1 a 10, devi considerarli come un 11. Fuoriscala. Un Pelè, un Maradona, un… boh? Non mi vengono in mente altri, ma non seguo il calcio con così tanta passione. Federer per il Tennis, Linus Torvalds per i sistemi operativi, Michelangelo per la Scultura, Mozart per la musica… tutti 11, tutta gente che non solo ha sudato e lavorato tutta una vita per seguire la propria passione, ma… eh… li ha aiutati il talento.
Bene, che esista o meno il Talento, il sugo di questa storia è che gli altri 10 livelli che ti portano da “fama del cortile di tua zia” a “famoso in tutta la scuola” fino “famoso in tutto il pianeta” sono fatti di Volontà, Studio e Duro Lavoro. Nient’altro. Non ci credi?

La nazionale brasiliana del 1982 aveva tra i suoi eroi Paulo Roberto Falcao, Zico e Socrates (il bidone da 2 miliardi sfuggito alla Fiorentina) giocatori famosi e nel caso di Falcao anche talentuosi.
Enzo Bearzot, commissario tecnico di quel mondiale, schierò accanto a nomi come Conti, Cabrini, Tardelli e Dino “saracinesca” Zoff (miglior portiere di sempre) uno che fino a quel momento non s’era distinto particolarmente. Messo di fronte a un gigante come Falcao il piccoletto lo aggirò come se gli fosse passato in mezzo alle gambe e su assist ben serviti dal resto della squadra rifilò tre pere al Brasile e fanculo il talento. Quel piccoletto si chiamava Paolo Rossi e chiuse la pratica Brasile con un 3 a 2 che, ancora oggi, ricordo come un’impresa titanica. Poi consegnò un paio di avocados brasileri alla Polonia (2 a 0 per l’Italia) e infine una birretta ghiacciata alla Germania Ovest (era l’82 il muro sarebbe caduto molto più tardi) il primo gol della serata, le altre due le servirono Tardelli e Altobelli chiudendo la pratica Mondiali di Calcio del 1982 (Spagna) con un bel 3 a 1.
Festa nazionale e gioia incontenibile con una settimana di caroselli in strada e scudetti tricolore disegnati in tutto il territorio nazionale.
Festa a parte,  Rossi tutto era tranne che un calciatore che si potrebbe definire “talentuoso”. Sapeva giocare bene, rispettava le regole, la squadra e i le indicazioni del Mister e queste competenze non le ha potute apprendere “per nascita”, ma semplicemente lavorando.

Anche la scrittura ha delle regole, anche la narrativa e se non hai avuto la fortuna di aver avuto qualcuno che te le ha fatte imparare… be’, la capacità di apprendimento è stata misurata e in un cervello bene allenato si mantiene anche a 70 anni e oltre. Forse non sarai mai un “11” in letteratura, ma ti assicuro che con lo studio, il lavoro e la voglia (quel naturale desiderio che si prova nei confronti di qualcosa che si vuole ottenere, tipico di ogni essere umano di qualunque etnia, credo o cultura) i risultati arriveranno sempre, talento o meno.

E adesso torno a scrivere, che ho ancora un sacco di lavoro.

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